PensarBene: Testo redazionale

Fare davvero i conti con l’eredità del consumismo, richiede di riconsiderare il tipo di libertà di cui ha potuto beneficiare il cittadino della società del benessere, e scoprire che, in buona parte, si tratta di una libertà “tossica”, e che è venuto il tempo di chiederci se non vi sia una prospettiva più umana dell’essere liberi.

L’individuo che conosciamo – e di cui ognuno di noi porta i tratti – avverte con grande intensità l’esigenza di distinguersi dalla massa e di essere riconosciuto, se non apprezzato, dagli altri per questa sua unicità. Ma finisce per assumere comportamenti che contraddicono questo suo giusto desiderio, in quanto il progressivo sgretolamento dei modi di vita tradizionali ha sottratto alle persone, ed in particolare ai giovani, l’ancoraggio di senso che consente al proprio io di abitare il proprio tempo riconoscendosi parte di un tutto.

Mentre nella società tradizionale la personalità si formava entro i mondi della vita quali la famiglia, la comunità, i luoghi dello studio del lavoro, del tempo libero e dello sport, nella società narcisistica l’individuo è costantemente impegnato nello sforzo immane di “formare se stesso” partendo da una prospettiva ristretta in quanto, usando le parole di Montesquieu, si è liberamente e totalmente rinchiuso «nella solitudine del suo proprio cuore». 

La tensione provocata dal tentativo di rendere pubblica la narrazione di sé medesimi, e dall’esito spesso frustrante di questo sforzo, porta ad uno stato d’animo di noia di tipo nuovo da non confondere con la melanconia o accidia del Medioevo, in quanto quello odierno esprime piuttosto un tormento esistenziale provocato da forze interiori che non trovano sfogo, dalla consapevolezza di non possedere i mezzi (capitale sociale, forza di volontà) necessari per correre la gara del successo.

Il soggetto crede di essere libero, mentre in realtà è fortemente condizionato da una società modellata sulla figura del consumatore, colui che in ogni contesto in cui vive applica la regola della “possibilità di scelta” tra opzioni alternative, un atteggiamento deleterio se riferito ai legami che fondano un io stabile: la famiglia, il vicinato, l’appartenenza ad imprese ed associazioni dedite a scopi dotati di valore.

La tossicità di questo modo di vita si coglie nell’esito autodistruttivo dell’esercizio delle libertà di cui gode l’individuo: la battaglia dell’affermazione di sé finisce per provocare l’isolamento e l’insensibilità nei confronti degli altri e degli avvenimenti che riguardano il mondo che abbiamo in comune. Infatti, le organizzazioni di lavoro lamentano la postura individualistica dei collaboratori in un tempo in cui servirebbe elevare la qualità dell’opera comune, dalle scuole emerge un malessere esistenziale nei tre soggetti fondamentali (alunni, insegnanti e genitori), nei luoghi della partecipazione vi sono sempre più individui ossessionati dall’urgenza della “narrazione di sé”, il lockdown ci ha lasciato in eredità la sindrome della “casa mia” come comfort zone minimale, aumentano le povertà esistenziali da parte di soggetti che avvertono dolorosamente l’estraneità da “tutto il resto”.

L’attesa messianica di felicità connessa allo stile di vita della prima stagione dell’individuo-massa si è già trasformata in disillusione; non servono nuovi programmi di palingenesi sociale, quanto uno sguardo che consenta di cogliere nella realtà presente le idee anticipatrici e formatrici di futuro; esse disegnano un cammino di rinnovamento che proceda tramite la rivalutazione di forme di vita della tradizione, incardinate però entro un contesto decisamente inedito, lungo tre direzioni:

  • una ricerca spirituale che porti alla conoscenza dell’anima e delle sue esigenze, per saper combattere i propri demoni e accedere ad un livello di espressione di sé più autentico e meno tossico;
  • esperienze di mobilitazione locale su temi legami di prossimità e mete concrete (nuovo civismo) in cui le persone possano fare esperienza della bellezza e del potere dell’unione delle forze e dei cuori entro lo spazio reale e “disciplinante” dei territori;
  • una cultura (specie da parte della scuola) affinata nel riconoscimento del positivo, della bellezza e della stabilità, le tre condizioni entro cui si possono suscitare le risorse buone della gioventù: entusiasmo, apertura, novità.

Sono tutti movimenti che hanno come caratteristica la tessitura di legami fondati su uno sguardo positivo sulla vita e sul futuro, e che preludono ad una seconda stagione dell’individuo non più massificato, ma più autentico. Ciò può portare ad un tempo di libertà positive connotate non più dallo slegame ma dall’appartenenza, sullo sfondo di un’utopia della vita che susciti una disposizione confidente nel futuro.

La mobilitazione degli apparati istituzionali e delle forze economiche nell’impresa della svolta green può fornire quella infrastruttura sociale entro cui incanalare le forze “bloccate” dalla noia agitata e sofferente del nostro tempo, entro una missione eticamente connotata. 

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