Dario Eugenio Nicoli

Steve Bannon qualche giorno fa ha sostenuto che Trump “andrà in prigione” se i Democratici riconquisteranno la Casa Bianca nel 2028. Ma si è dichiarato preoccupato anche dell’esito delle elezioni di metà mandato del 2026 alla Camera, in quanto una vittoria potrebbe spingere l’attuale opposizione a tentare di rimuovere il boss dei boss dalla presidenza. Bannon si riferisce alle accuse penali ancora pendenti nei confronti di Trump e alle possibili conseguenze politiche future.

Ma la paura di questo equivoco personaggio è davvero reale? Se guardiamo alla scena desolante che stanno offrendo i Democratici sembrerebbe di no: non stanno facendo opposizione né nel Congresso né nel Paese, tranne che per piccole mobilitazioni locali contro il Vicepresidente Vance ed i capannelli contro la Tesla di Musk. Sembrano paralizzati dall’ampiezza della sconfitta, e storditi dalla valanga di provvedimenti e dichiarazioni con cui il nuovo governo sta rovesciando radicalmente tutta la politica degli USA.Continua

Dario Eugenio Nicoli

Siamo tutti scossi da quanto sta accadendo sul piano internazionale; è qualcosa a cui non siamo preparati, e che si abbatte come un pugno nel nostro stomaco, scuotendoci da una sorta di torpore individualistico che ha colpito i singoli ed anche le istituzioni.

Stiamo prendendo coscienza del rischio che corre il valore che ci sta più a cuore, ovvero la comunità, intendendo con questa parola quel mondo, come dice il filosofo Jan Patočka, «in cui si deve poter vivere, vivere in comune, in cui si deve essere accettati e ricevuti, ricevere quella protezione che ci permette di assumere i compiti concreti di difesa e di lotta contro ciò che ci minaccia».

Non sappiamo quali sono i contenuti precisi delle trattative in corso tra USA e Russia, che avranno valore solo se sottoscritte dall’Ucraina, la quale presumibilmente chiamerà in causa anche l’Unione Europea come garante della sua sicurezza. Ma sappiamo già da ora che sono accaduti tre grandi cambiamenti, che occorre guardare con realismo perché richiedono altrettante risposte immediate.

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di Dario Nicoli

Dopo pochi anni dal suo avvento, anche la stagione del populismo sta volgendo al termine mentre si sta aprendo un nuovo scenario centrato sull’iniziativa unitaria e globale delle nazioni democratiche.

L’appannamento della figura di Donald Trump, vero campione dei populisti, è iniziato con la sconfitta alle elezioni del 2020, si è decisamente aggravato con l’ambigua posizione nella tragica vicenda dell’assalto al Campidoglio, ma anche con la sconfitta del suo tentativo di non rendere pubbliche le carte della sua sconcertante posizione fiscale; vi è stata infine la non vittoria alle elezioni di midterm del 2022. Tutti eventi che hanno rappresentato altrettante occasioni perdute per far rilucere la propria stella, e si sa che la forza che alimenta il sentimento populista viene meno con la perdita del “tocco fatale” del proprio leader. Così si spiega l’imbarazzante distanza – ben 23 punti – che i sondaggi gli attribuiscono rispetto alla stella nascente repubblicana del governatore della Florida, Ron De Santis, un politico molto più attento a mostrarsi affidabile, desideroso di riconquistare il ceto moderato con istruzione medio alta, spaventato dall’incompetenza e dall’irresponsabilità trumpiana.

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