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Dario Eugenio Nicoli

Siamo tutti scossi da quanto sta accadendo sul piano internazionale; è qualcosa a cui non siamo preparati, e che si abbatte come un pugno nel nostro stomaco, scuotendoci da una sorta di torpore individualistico che ha colpito i singoli ed anche le istituzioni.

Stiamo prendendo coscienza del rischio che corre il valore che ci sta più a cuore, ovvero la comunità, intendendo con questa parola quel mondo, come dice il filosofo Jan Patočka, «in cui si deve poter vivere, vivere in comune, in cui si deve essere accettati e ricevuti, ricevere quella protezione che ci permette di assumere i compiti concreti di difesa e di lotta contro ciò che ci minaccia».

Non sappiamo quali sono i contenuti precisi delle trattative in corso tra USA e Russia, che avranno valore solo se sottoscritte dall’Ucraina, la quale presumibilmente chiamerà in causa anche l’Unione Europea come garante della sua sicurezza. Ma sappiamo già da ora che sono accaduti tre grandi cambiamenti, che occorre guardare con realismo perché richiedono altrettante risposte immediate:

  • L’accordo sulla fine della guerra in Ucraina non avverrà alla luce del diritto internazionale (intangibilità dei confini riconosciuti dall’ONU ed indipendenza – autodeterminazione), bensì di una specie di tregua basata sul diritto del più forte, lasciando in tal modo sempre viva la minaccia della Russia verso il compimento del disegno di Putin di annettere una profonda fascia del territorio lungo tutto il suo confine occidentale tra il Mar Baltico e il Mar Nero.
  • il cambio del posizionamento degli USA nel contesto internazionale: non più Paese guida dell’alleanza tra le democrazie occidentali, ma superpotenza autoritaria che sfrutta i conflitti internazionali a suo esclusivo vantaggio, una riedizione dell’isolazionismo America First già visto più volte nel passato, quindi non inventato da Trump insieme alla sua banda di “fuori di testa”;
  • una Unione europea non più tutelata sul piano geopolitico e militare (Nato) dalla potenza degli Stati Uniti, ma trattata sulla scena internazionale non solo come una comparsa, ma come possibile vittima sia sul piano economico (dazi USA su tutte le merci là esportate) sia su quello dell’integrità dei territori dei paesi membri che rientrano tra le mire russe.

Sul piano della storia, si sta riproponendo una condizione simile al periodo che ha preceduto la seconda guerra mondiale, quello della vergognosa Conferenza di Monaco del 1938, in cui i due paesi democratici di Inghilterra e Francia accettarono le mire tedesche sulla Cecoslovacchia (altro paese democratico,  tenuto fuori dalle trattative che lo riguardavano) convinti di ottenere in tal modo una vera pace, mentre Hitler ha interpretato questo cedimento come segnale di “mano libera” ai suoi disegni di conquista. 

Sul piano della coscienza collettiva, le nubi minacciose che si affacciano da Est ci fanno comprendere che la nostra libertà non consiste in tanti io individuali ognuno sovrano di sé, ma presenta una natura collettiva entro un legame che richiede una solidarietà di popolo.  

Sul piano di come può reagire l’Europa, si è espresso chiaramente il premier laburista britannico Keir Starmer: «I tiranni come Putin capiscono solo il linguaggio della forza». Più si sente minacciato, più ci rispetta; se capisce che tentenniamo, procede nei suoi disegni di dominazione, molto concreti, tanto che sono pochissimi quelli che, tra i paesi dell’UE, lo negano. Ma vi sono anche altri che stanno a guardare per capire se possono procedere impuniti nelle loro mire: la Corea del Nord, l’Iran ed in parte anche la Cina e la Turchia.

Tutti e tre i cambiamenti indicati si affrontano imboccando al più presto un’unica strada, quella delineata dal Rapporto Draghi: creare un’Europa unita su quattro fronti: energia, tecnologie, esercito comune e politica internazionale.

L’indipendenza energetica si persegue, oltre con gli accordi con i paesi del Nord Africa, anche tramite l’energia sicura ed ecologica fornita da reattori nucleari a fissione di quarta generazione; vanno creati grandi pool di imprese perché siano leader mondiali nel campo delle tecnologie di punta compreso lo spazio e l’Intelligenza artificiale; militare occorre estendere lo scudo di protezione nucleare offerto da Francia e Gran Bretagna e creare un esercito europeo dotato dei mezzi necessari da far capire al Cremlino (ma anche alle altre potenze autocratiche), che ad ogni suo colpo inferto a noi riceverà subito dopo un colpo ben più grave, ciò che viene chiamato “principio di deterrenza”. Infine, la politica internazionale non deve essere più una questione di missioni per convincere i “cattivi” e conferenze che concludono inevitabilmente con documenti esortativi, ma occorre perseguire la strategia dell’alleanza con chi – anche fuori dall’Europa – si riconosce nei principi della democrazia e della pace vera ed è disposto a mettere del suo nel salvare.

Le elezioni in Inghilterra ed in Germania hanno avuto esiti favorevoli al rafforzamento della strategia europea; il governo di coalizione in Francia, che ha provocato l’emarginazione delle due ali estreme, può essere l’anticamera di un’alleanza vincente anche alle prossime elezioni. Tranne l’Ungheria e la Slovacchia, tutti gli altri paesi UE sono su posizioni chiare e coerenti con il rapporto Draghi.

Quanto a noi, Il governo Meloni gode di un’autorevolezza internazionale che – almeno finora – non lo rende succube di nessuno, visto il suo coerente sostegno a Kiev. Al suo interno vi sono però anime autolesioniste con simpatie per Putin e Trump. Anche all’opposizione è richiesta un’assunzione di responsabilità che sappia incalzare il governo in base all’agenda Draghi, lasciando al loro destino coloro che sono contrari ad un’Europa più forte e decisa. La prospettiva di un patto su temi di sicurezza nazionale ed europea non è assolutamente peregrina.

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2 commenti

  1. Author

    Concordo in tutto e per tutto con l’articolo di Dario. Aggiungo solo alcune considerazioni in larga misura solo rafforzative dei suoi argomenti. Era il 1989; crollava il muro di Berlino. La globalizzazione sembrava funzionare. Nel giro di qualche decennio saremmo tutti diventati liberali e democratici. E’ accaduto esattamente l’opposto e quel che è successo ha mostrato come meglio non si poteva che la forma di stato democratica, benchè aspiri ad esserlo, non è intrinsecamente / necessariamente destinata al successo universale, bensì rappresenta una visione e una tradizione tra le altre che si basa su valori specifici nei quali altri popoli possono benissimo non riconoscersi. Poichè credo che le democrazie illiberali siano un assurdità, dal momento che la democrazia o è liberale o non esiste, nell’attesa che gli USA si riprendano, se mai lo faranno, al momento è rimasta solo l’Europa e pochissimo altro. Però l’Europa, complice la sua stessa ideologia economicista e radicalmente individualistica, non è pronta e si dimostra terribilmente in ritardo rispetto al compito principale che ora le spetta: tenere alta la bandiera della libertà e dell’eguaglianza. Considerata la necessità di correre ora più velocemente che mai, non sono questi momenti quelli giusti per fare dei distinguo. Come si è fatto con l’Euro bisogna fare gli stati uniti federali d’Europa al più presto e con chi ci sta. Ciò significa che i paesi aderenti avranno una politica estera (comprensiva degli scambi commerciali), un esercito, una moneta comuni. In questa direzione servirà sicuramente l’emissione di titoli del debito pubblico comuni che possano finanziare armamenti e investimenti altamente innovativi in tutti i settori strategici. E’ chiaro che questo comporterà sacrifici enormi ai quali dobbiamo prepararci. Sacrifici che saremo in grado di affrontare solo se sapremo, nel frattempo, riflettere sulle cause del disastro (ogni giorno di più mi convinco che quel che oggi sta sotto i nostri occhi sono gli effetti non alle cause del disastro. Cause, queste ultime, che risalgono a diversi decenni fa) che, in pochi decenni, ha investito l’Occidente. Penso infatti che solo da una tale riflessione critica potrà venire, credo, quella forza collettiva rinnovata che ora ci è indispensabile e che, come sempre, è tanto più consistente quanto maggiori sono i valori sentiti e condivisi.

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  2. è curioso che colui che ha una visione chiara del futuro Europeo sia Draghi.
    Molto d accordo con l articolo .
    Mi fanno paura i Conte, i Santoro i Paragone , Travaglio per non parlare di Salvini .

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