
Dario Eugenio Nicoli
Steve Bannon qualche giorno fa ha sostenuto che Trump “andrà in prigione” se i Democratici riconquisteranno la Casa Bianca nel 2028. Ma si è dichiarato preoccupato anche dell’esito delle elezioni di metà mandato del 2026 alla Camera, in quanto una vittoria potrebbe spingere l’attuale opposizione a tentare di rimuovere il boss dei boss dalla presidenza. Bannon si riferisce alle accuse penali ancora pendenti nei confronti di Trump e alle possibili conseguenze politiche future.
Ma la paura di questo equivoco personaggio è davvero reale? Se guardiamo alla scena desolante che stanno offrendo i Democratici sembrerebbe di no: non stanno facendo opposizione né nel Congresso né nel Paese, tranne che per piccole mobilitazioni locali contro il Vicepresidente Vance ed i capannelli contro la Tesla di Musk. Sembrano paralizzati dall’ampiezza della sconfitta, e storditi dalla valanga di provvedimenti e dichiarazioni con cui il nuovo governo sta rovesciando radicalmente tutta la politica degli USA.
Il New York Times ha intitolato un recente editoriale “la banda dei gangster che ha preso possesso della Casa Bianca”. In effetti, questa Amministrazione si muove con lo stile intimidatorio tipico dei boss della malavita: tratta le questioni internazionali in base al tornaconto economico degli USA, pratica l’agguato a Zelensky con Vance nella veste del provocatore sadico, a cui si aggiunge la vergognosa sceneggiata della segretaria alla Sicurezza interna Kristi Noem all’interno della maxi-prigione Cecot a El Salvador. Un’Amministrazione che disprezza il diritto internazionale sostituendolo con il diritto dei prepotenti (“lo vogliamo!”) su Groenlandia, Panama e l’intero Canada, e che inoltre sostiene i movimenti neonazisti dei paesi europei. Tutti aspetti che rendono questa gang sorprendentemente simile all’oligarchia che domina a Mosca.
Molti si chiedono: come può accadere tutto questo nell’America democratica? Dove sono gli anticorpi all’autoritarismo: il Congresso, la magistratura ed i media?
La magistratura si sta muovendo con sentenze che bloccano alcune iniziative ed anche la Corte suprema ha ridimensionato il blocco dei fondi Usaid destinati agli aiuti umanitari forniti dagli Usa nel mondo.
Ma è l’iniziativa politica che langue. Perché accade questo?
Semplicemente perché il partito democratico ha sposato negli ultimi anni un confuso movimento intellettuale postumanista, genderista ed apocalittico che ha imposto un’opprimente censura su chiunque non fosse in consonanza con la propria ideologia, creando un clima di sospetto e di repressione che ha portato alla distruzione di opere d’arte, oltre alla rovina di molte carriere di giornalisti, accademici, artisti e politici.
Questa polizia morale rappresenta l’altra faccia, questa volta democratica, dell’attacco alla democrazia.
Con la politica dei dazi Trump e i suoi accoliti stanno provocando un danno non solo ai Paesi (tra cui l’Italia) che “spesso si comportano peggio dei nostri nemici”, ma anche agli stessi USA, una mossa che mostra la totale ignoranza economica di questa banda. Ma l’opposizione non può attendere inerte il calo del consenso popolare del Presidente ed ottenere senza sforzo la vittoria nelle elezioni dell’anno prossimo. Occorre che emerga una nuova leadership, esito di una chiara e profonda autocritica, che porti quel partito a riprendere i temi della sua grande tradizione, quelli vicini al sentimento popolare: la famiglia, il lavoro, la sicurezza, la giustizia sociale, la comunità, la solidarietà internazionale.
Scrive Dario ad un certo punto dell’articolo: “Occorre che emerga una nuova leadership, esito di una chiara e profonda autocritica”. Affidarsi alla giustizia per rimettere a posto la politica è il fondamento del giustizialismo e non funziona mai, a quanto ne so. Affidarsi ai soli errori altrui per tornare vincenti, ammesso che capiti, porta solo indietro l’orologio della storia di un paese. Prima o poi succederà di peggio. Non resta che la via indicata da Dario che resta, però, tutta da percorrere, se non mi sono perso qualche puntata.
Una puntata interessante è quella del nuovo governo inglese guidato dal laburista Keir Starmer che sta ridimensionando la via dei sussidi a pioggia, per intraprendere la strada del lavoro. Inoltre mira ad una progressiva convergenza con l’Unione europea, attenuando le differenze introdotte con la Brexit.