Anarchia e comunità non vanno d’accordo

Bruno Perazzolo
Malgrado certo “immaginario collettivo” ritenga che le idee di comunità e di anarchia si sposino perfettamente, nella realtà le cose vanno in maniera completamente diversa. Il falso mito nasce negli anni Sessanta. Emblematica, al riguardo, la vicenda dell’Isola delle Rose. Dalle ceneri dell’ordine sociale borghese, capitalista, autoritario e consumista sarebbe nata, nella visione giovanilistica, proprio in mezzo all’Adriatico (1967), in acque internazionali, l’autentica comunità capace di combinare il massimo della libertà individuale con la solidarietà collettiva. In pratica il comunismo di Karl Marx. Ma, come si sa, le utopie generano quasi sempre distopie. Come aveva previsto Fernando Pessoa nel suo famoso “banchiere anarchico” (1922) è successo che dal declino dell’etica capitalistica e della società borghese, che Max Weber aveva individuato nel protestantesimo (1905), l’anarchia, piuttosto che con la comunità, si sia sposata con la finanza.
Ma arrivo alla pellicola che è stata tratta da una storia vera risalente agli anni ’90 dello scorso secolo. Philippe Héraud è un ex insegnante che, “insofferente della burocrazia e delle cose senza senso che si insegnano ai ragazzi”, si è dedicato, con la sua famiglia, alla pastorizia. Lascia i Pirenei, dove si era dapprima stabilito con le sue capre, per via di una centrale atomica in costruzione e cerca casa nelle valli occitane del Piemonte. La trova in un piccolo paesino di montagna, sperduto e in via di spopolamento, ma non del tutto spento. Ci vive, infatti, ancora, una piccola comunità intenta a decidere del proprio futuro e che, dopo un lungo e dibattuto confronto, deciderà di accogliere in grande pompa Philippe e la sua famiglia. Le incomprensioni iniziano quando appare chiaro che Philippe e la sua consorte confondono la comunità di Chersogno (il piccolo paese di montagna della Valle Maira in Piemonte) con una comunità hippie.
Il film, prodotto nel 2005 nel circuito del cinema indipendente, è stato, dopo un lungo travaglio iniziale, pluripremiato e, giustamente, molto apprezzato dalla critica e dal pubblico per via della sua genuinità e della sapiente regia ispirata dalla scuola di Ermanno Olmi. Il ricorso ad interpreti non professionisti, per lo più residenti del luogo, ma comunque eccellenti, l’uso del dialetto, le immagini, lo spazio e i colori colti dalla cinepresa sempre in maniera eloquente, si dimostrano capaci di catturare l’attenzione dello spettatore con una tenacia che il racconto, di per sé, potrebbe mettere a dura prova.
Regia di Giorgio Diritti, genere drammatico, Italia 2005, durata 110 minuti, attualmente, spesso riproposto nei cineforum, il film si può vedere in streaming su Google Play, Rakuten TV, Apple TV e, probabilmente, anche su altre piattaforme.
Grazie Bruno di avermi ricordato un film che avevo visto diversi anni fa. Mi hai suscitato
Il desiderio di rivederlo, alla luce di quanto abbiamo scoperto nel nostro percorso: la comunità non è un luogo dove ognuno fa quello che gli pare, piuttosto dove dona quello che può, sentendosi parte di un mondo comune più grande del suo io
concordo pienamente. Grazie del commento