Una delle questioni più urgenti che occorre affrontare per il rilancio dell’occupazione a seguito della crisi generata dal blocco di una parte rilevante dell’economia, consiste nel superamento delle problematiche di disallineamento tra domanda ed offerta di lavoro, con speciale attenzione ai giovani.

Le statistiche ci dicono infatti che – al contrario del passato – la fascia d’età più richiesta è quella degli ultra cinquantenni; questo sembra dovuto al fatto che i più anziani sono portatori di un’etica del lavoro centrata sulla responsabilità, un fattore che li rende più interessanti rispetto ai giovani, considerati troppo centrati su se stessi piuttosto che sul progetto comune.

Inoltre emerge da parte delle imprese una richiesta di lavoratori che rimane inevasa a causa della carenza negli offerenti, specie i giovani, dei requisiti necessari per poter soddisfare le esigenze di ruolo. Questi corrispondono ad una formazione di base più consistente e attuale, ma unita ai comportamenti propri di un’etica del lavoro tradizionale: rispettare gli orari ed i ruoli, concentrarsi sul proprio compito, portarlo a termine superando situazioni e stati d’animo negativi, pensare non come singoli individui ma come componenti di un gruppo.

Il caso italiano per la sua storia imprenditoriale e le sue specificità produttive è connotato da un’etica del lavoro fondata su valori, credenze e culture che rendono critico l’allineamento tra richieste delle imprese perlopiù a carattere familiare, e le caratteristiche dei giovani, la cui ricerca di autorealizzazione è centrata sul proprio progetto personale. Questo nuovo orientamento valoriale che discrimina il proprio impegno in base alla soddisfazione personale si scontra con una tradizionale cultura del lavoro fondata invece sul “sacrificio” e sull’impegno “totalizzante” riferito al proprio ruolo.

Molte criticità nell’incontro domanda/offerta deriverebbero dunque dalla grande difficoltà di tanti imprenditori senior di innovare il proprio modo di fare impresa, di gestire le risorse umane e di fare welfare aziendale alla luce del modello di sviluppo globale basato sul concetto di sostenibilità (Agenda ONU 2030).

Sono sempre più diffusi i casi di imprenditori della “vecchia guardia” che preferiscono chiudere la propria impresa familiare anziché passare la gestione alle nuove generazioni esponendo di fatto il sistema economico-produttivo locale al rischio di estinzione di professioni storiche (es. panificatori).

Oltre alla differenziazione delle etiche del lavoro, troviamo anche un fenomeno molto più problematico: l’oscuramento del lavoro in quanto valore, spesso collegato ad un’errata comprensione dell’ultima rivoluzione tecnologica che, incorporando sempre più capacità umane, finirebbe per distruggere il lavoro e, in definitiva, la stessa società: si tratta dello scenario definito “jobless recovery” ovvero la ripresa senza lavoro. È una lettura totalmente smentita dai fatti: oggi, nonostante la crisi economica, il numero dei lavoratori nella gran parte del pianeta, ed anche in Italia, è più elevato di quello precedente al 2008.

Lo conferma anche il sentiero che sta percorrendo l’Intelligenza artificiale: ciò che si sta realizzando non è l’emulazione della mente umana, ma una “razionalità artificiale” tramite sistemi ed algoritmi (Big Data) capaci di analizzare dati per classificarli, riconoscere tratti ricorrenti, identificare correlazioni, simulare e predire lo sviluppo di un tipo complesso di società.

Un terreno di incontro tra generazioni può essere trovato sui “fattori sensibili” che hanno investito il lavoro e l’economia negli ultimi anni: la responsabilità sociale, i dilemmi di natura etica che non si possono risolvere con algoritmi, la crescente rilevanza delle relazioni interpersonali sia entro le squadre del lavoro sia tra persone che appartengono a differenti ambiti professionali che richiedono un sovrappiù di capacità di ascolto, comprensione ed interazione. Ma anche la sostenibilità, l’etica economica, la valorizzazione delle risorse umane e il legame con la comunità in cui si colloca l’impresa.

Questo terreno si fonda non tanto su un’antropologia dello scambio quanto su un’antropologia dell’incontro inteso come condivisione di prospettive dotate di valore, entro un contesto d’azione che vede implicati i diversi soggetti coinvolti. In questa prospettiva, emerge nell’azione l’apertura dell’individuo verso l’altro, quel dinamismo che dà origine al comportamento morale che qualifica la comunità.

Molto stimolante appare la proposta di Frederic Laloux che, nel suo libro Reinventare le organizzazioni, sostiene che il modello organizzativo più diffuso, quello ad impronta meccanicistica-comportamentale, presenta gravi disfunzioni: scarsa motivazione delle persone, cinismo, paura, bassi livelli di servizio, aziende burocratizzate che faticano tremendamente ad adattarsi al nuovo. La causa è rintracciabile nella distanza tra ciò che interiormente le persone sentono come importante e ciò che esteriormente vivono nella vita organizzativa; da qui un vuoto generativo nell’accogliere il nuovo della società, ma anche la novità che è in ciascuna persona.

Noi oggi viviamo una profonda tensione tra l’etica del dovere e l’etica della soggettività, due aspetti molto differenti, se non alternativi. Al centro della cultura e del sentire più diffusi fra i giovani, ma pure in soggetti più adulti, c’è una prospettiva di vita che crea una netta discontinuità rispetto alla concezione storica del lavoro, ritenuto un dovere necessario al riconoscimento sociale e fuori del quale non vi è vita pubblica. La visione tradizionale incorporava il lavoro entro una macchina sociale a cui ciascuno partecipava svolgendo un ruolo, secondo schemi e riti precostituiti, nella direzione del progresso, un valore tanto certo da non essere discusso. Un fattore oggi decisamente in crisi nella coscienza collettiva.

L’incontro tra le due etiche – quella della responsabilità e quella dell’autorealizzazione – avviene non sulla base di sofisticate tecniche di gestione delle risorse umane, ma della maggiore consapevolezza delle imprese della propria responsabilità sociale, connessa al valore per la comunità del prodotto-servizio erogato.

Laloux afferma che, per risolvere i problemi generati dalle organizzazioni meccanicistico-comportamentali, esageratamente orientate a target economici spesso collocati nel brevissimo termine, occorre accedere ad un nuovo stadio di coscienza che tiene conto del desiderio delle persone di partecipare con il proprio lavoro ad un’opera dotata di valore etico, e di imprese che sanno valorizzare tale desiderio formando nei giovani la capacità di addomesticare il proprio ego e di ricercare un modo di operare comunitario più autentico e soddisfacente.

Si tratta di un salto di qualità che richiede alle imprese di fondare il rapporto di lavoro su un’intesa pre-contrattuale, ovvero un patto in cui il lavoratore si riconosce nel proposito evolutivo dell’impresa e decide di unire le proprie energie entro un lavoro che si svolge prevalentemente in team. La svolta green dell’economia verso cui si sta orientando l’Unione europea può essere l’occasione storica per un nuovo umanesimo dell’economia e del lavoro.

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