di Bruno Perazzolo

Ricordo, vagamente, un aneddoto: “alcuni passanti rimasero attoniti nel vedere una persona di una certa età, carponi, pedinare, tra l’erba di un prato, alcune oche selvatiche. Quando seppero che si trattava di Konrad Lorenz, il famoso etologo premio Nobel 1973, lo sbigottimento cessò e la normalità tornò sovrana”. Qual è la morale di questa storiella? Come direbbe G. Bateson, l’aneddoto dimostra in che modo “il contesto sia la matrice del significato” di qualsiasi evento. In quest’ottica la lettura del libro del 2020 di Anne Applebaum (giornalista e saggista, premio Pulitzer 2004) credo sia indispensabile per comprendere, all’interno di una cornice più ampia, una miriade di fatti che, confusamente, punteggiano l’attualità evidenziando, nell’insieme, le crescenti difficoltà dei sistemi democratici.

Il testo, a tratti autobiografico, racconta di come, soprattutto a partire dalla fine del secolo scorso, la destra liberale si sia letteralmente divisa in due in tutto l’occidente. I casi della Spagna, della Polonia, del Regno Unito, degli USA ecc. sono riportati con abbondanti dettagli. Il movimento, cha ha portato alla rottura di sodalizi che sembravano granitici, viene ricondotto alle dinamiche più ampie dell’intero sistema politico. In particolare ad una dialettica destra-sinistra che, citando ancora una volta G. Bateson, potrei definire “schismogenesi complementare”: Allo spostamento della sinistra su posizioni sempre più multietniche, inclusivo-relativiste, soggettiste e postmoderniste – tese a svalutare tradizione e identità collettive, confini territoriali e appartenenze comunitarie – corrisponde la radicalizzazione identitaria, autoritaria e intollerante, di una parte sempre più consistente della destra approdata al populismo e al sovranismo. Deriva chiaramente da questa dinamica il fascino che i sistemi autoritari, postcomunisti e postfascisti, esercitano su un crescente numero di cittadini “tradizionalisti”. Un po’ meno chiaro, invece, è il rapporto ambiguo tra dittature e sinistra. Vero è che nel ’68, l’anno della svolta nel concetto e nella pratica di tanta parte della sinistra anticapitalista e dell’universo liberal progressista, nelle piazze si gridavano, in contemporanea, slogan del tipo “vietato vietare” e “Viva Lenin, Viva Stalin e Viva Mao Zedong”. Tuttavia, l’idea di spiegare con la cultura sessantottina il rapporto di una parte della sinistra con i sistemi totalitari, non mi sembra esaustiva. Deve esserci dell’altro. Dell’altro che, mi pare di intuire, possa essere ravvisato proprio nello slittamento della cultura democratica verso quel “pensiero debole”, figlio del libertarismo disincantato, che, proprio in quanto debole, non disdegna di inseguire ogni genere di opportunità che possa procurare vantaggi immediati.

Se, dunque, la dialettica destra sinistra – come dimostrano di aver ben compreso i maggiori autocrati e come dice bene la stessa autrice –  rischia di far implodere le democrazie, è evidente che le residue speranze della loro sopravvivenza vanno riposte in quella parte della destra, del centro e dei progressisti che ha scelto di presidiare i “vecchi valori”. Ma in che modo?

E’ proprio su questo punto che il libro della Applebaum mostra i limiti maggiori. Crollata la “fede nella storia” concepita come “destino” contrassegnato dalla crescita illimitata dei diritti (assicurati dal Welfare State) e del Mercato, diventa sempre più manifesta la fragilità di ogni nostra vera o presunta conquista: quella democratica compresa. In questo contesto affermare, come credo sia giusto, che le democrazie rappresentano sistemi politici aperti più evoluti, perché capaci di coniugare la libertà e la creatività dei singoli con la solidità delle istituzioni selezionando le migliori competenze, non serve a nulla se poi, in concreto, coloro che hanno a cuore i valori della sovranità popolare, pensano di fronteggiare le attuali difficoltà con vecchie idee e/o modelli obsoleti. Non mi stancherò mai di ripetere il mantra arendtiano “Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce”. Ecco, leggendo il libro della Applebaum, si ha l’impressione che la crisi che sta letteralmente spaccando la destra conservatrice e collassando le democrazie, non le offra l’opportunità di un pensiero profondo. Al riguardo, a nulla servono le poche righe giustamente dedicate alla globalizzazione, alla finanziarizzazione dell’economia, ai flussi migratori ecc.. Il libro, riservando uno spazio ben più consistente alla propaganda dei “Chierici[1]”, alla “Personalità autoritaria” e alle dinamiche dei social, sembra, alla fine, ridurre “il tramonto della democrazia” ad un problema “sovrastrutturale di comunicazione” ponendo, così, in secondo piano i molteplici fattori economici, politici e, soprattutto, etico – morali. In breve, Applebaum, fa esattamente quello che viene di norma rimproverato ai suoi avversari populisti e sovranisti: affronta un problema complesso con soluzioni semplicistiche.     


[1] Intellettuali ed altri membri delle élite che, consapevolmente e spesso con cinico opportunismo, avendo frequentemente sperimentato prima solitudine e emarginazione, si mettono servilmente alla mercé del potere confidando sulla fedeltà allo stesso piuttosto che sulle loro competenze.

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1 commento

  1. Author

    Riguardo al testo della Applebaum mi premono due questioni:
    – la Applebaum cade nell’errore tipico dei divulgatori: dimenticare la storia. Altrimenti saprebbe che sia la destra che la sinistra sono mondi politici da sempre attratti contemporaneamente dalla democrazia e dall’autarchia. La destra ha nel suo DNA il fascismo ed in generale l’ossessione del caos della modernità da contrastare tramite la concentrazione dei poteri nell’uomo forte; la sinistra ha sempre avuto un’anima antidemocratica sia nella versione anarchica del gesto insurrezionale sia in quella marxista della “dittatura del proletariato. Quindi starei attento a sostenere l’idea che nel recentissimo passato siano da rintracciare i segni di un fatale declino di tradizioni politiche sinceramente democratiche. il ’68 ha aggiunto una componente di vitalismo e di infantilismo, ma occorre ricordare che una parte del terrorismo proviene dall’area PCI che sosteneva la necessità di completare la Resistenza fino ad imporre un regime filosovietico.
    – Anche dal punto di vista geopolitico mi pare che la Applebaum manchi di una visione più adeguata: il supposto (sempre che esista: sulla Cina Biden continua la stessa politica di Trump) fascino che i sistemi autoritari esercitano sulle destre dell’Occidente non può essere limitato ai fattori identitari, che interessano una piccola componente della popolazione, ma è motivato a partire dalla capacità dei due modelli di stato e di governo di fronteggiare le sfide che via via si manifestano. Le democrazie si stanno mostrando più duttili ed efficaci rispetto ai paesi autoritari che alla fin fine ripropongono sempre l’uso violento della forza.
    Il nostro percorso è molto più rigoroso ed è meno influenzato dalla realtà USA.

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