Dario Nicoli

L’industria dello sfruttamento dei giovani talenti musicali sta sprofondando nei flop dei troppi concerti programmati, che provocano pesanti debiti ai giovani artisti che hanno creduto a promotor abili a sfruttarne i sogni. Sembra stia finendo la stagione delle facili illusioni di chi pensa che basti il successo di uno streaming per poter accedere all’élite della canzone, senza la necessaria gavetta che consente una crescita graduale, maturata dall’esperienza. È l’ennesima prova della volubilità dei social: così come è facile ottenere i cinque minuti di celebrità, allo stesso modo è un attimo finire nell’ombra ed essere dimenticati. 

Un’eccezione molto illuminante è quella di Ultimo, nome d’arte di Nicolò Moriconi, cantante romano di 28 anni che ha dovuto affrontare agli esordi anni di delusioni e sconfitte nel mondo dei talent e che ha visto poi una crescita prodigiosa senza l’ausilio né del marketing né degli effetti speciali, sostenuta da seguaci (quasi due milioni di biglietti sinora venduti) che si sono riconosciuti in lui e nel suo messaggio vero, semplice e diretto.
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Bruno Perazzolo

Ci sono articoli che ti toccano in profondità e ti obbligano a riflettere. Questo, di Dario Nicoli, è uno di quegli articoli. Il giorno successivo alla lettura di “Papa Leone XIV e la speranza credibile”, come in genere mi succede, mi è venuto in mente il mito della Torre di Babele. Dovremmo dedicare più attenzione ai miti. Essi contengono metafore potenti e una saggezza capace di attraversare ogni epoca restando sempre, perfettamente, eguale a sé stessa. La prova? Il mito della Torre di Babele si trova nell’Antico Testamento e, precisamente, nel libro della Genesi, capitolo 11, versetti 1-9 della Bibbia risalente al VI – V sec. a.C. Però, malgrado la sua veneranda età, descrive alla perfezione la nostra epoca e la nostra attuale condizione. Quella dell’Occidente moderno rappresenta, infatti, il “tipo ideale” di una cultura che, nella sua versione egemone, ovvero nella sua versione liberale, si è consegnata integralmente all’impresa ingegneristica di costruire una società senza Dio.

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Dario Nicoli

Quel pomeriggio del 15 maggio, in un istituto comprensivo statale della periferia di Milano era in corso il collegio dei docenti. Qualcuno ha detto “è una fumata bianca!”. Immediatamente tutti i partecipanti si sono alzati in piedi, in silenzio. Un gesto sorprendente, innanzitutto per il dirigente che non sapeva come gestirlo, trovandosi di fronte ad un evento estraneo ai suoi compiti.

Quel gesto, simile a tanti altri accaduti in quel momento, è un segno di riconoscimento per una persona in grado di riempire il vuoto lasciato dalla morte di Papa Francesco, una figura che ha saputo entrare nel cuore di molti. Un gesto, però, accaduto pubblicamente, pur in assenza di parole e segni appropriati ad un evento di natura religiosa che, per convenzione, avrebbe dovuto essere riservato ai soli credenti.

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Bruno Perazzolo

Malgrado certo “immaginario collettivo” ritenga che le idee di comunità e di anarchia si sposino perfettamente, nella realtà le cose vanno in maniera completamente diversa ….
La pellicola che è stata tratta da una storia vera risalente agli anni ’90 dello scorso secolo. Philippe Héraud è un ex insegnante che, “insofferente della burocrazia e delle cose senza senso che si insegnano ai ragazzi”, si è dedicato, con la sua famiglia, alla pastorizia. Lascia i Pirenei, dove si era dapprima stabilito con le sue capre, per via di una centrale atomica in costruzione e cerca casa nelle valli occitane del Piemonte. La trova in un piccolo paesino di montagna, sperduto e in via di spopolamento, ma non del tutto spento. ….

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Bruno Perazzolo

Tratto dal racconto autobiografico del vero Mathyas Lefebure, Mathyas è un giovane intellettuale smarrito. Ha deciso, però, di rompere i ponti con la sua professione di “scrittore al servizio del marketing”. Parte dal Canada per approdare in Provenza con un sogno: fare il pastore portando le greggi transumanti sino alla montagna dove l’erba è più verde e nutriente. Un cammino, il suo, alla “ricerca dell’essenziale”. Un cammino che, classicamente, non sarà privo di incognite e di pericoli. Ad attenderlo un mondo ambiguo dove barlumi di luminosa gentilezza si mescolano alla prevalente violenza. Inizialmente qualcosa di simile all’inferno dantesco dal quale, un miracoloso incontro lo aiuterà ad uscirne per gustare, almeno a tratti, qualcosa di assai vicino al paradiso.Continua

Dario Nicoli

Con un po’ di approssimazione, possiamo riassumere il messaggio di Michael Sandel nelle seguenti due affermazioni:

L’idea di giustizia diffusa nel nostro tempo, e condivisa sia dalle famiglie politiche più tradizionali, ovvero i conservatori ed i riformisti, sia dai più recenti populisti di destra o di sinistra, è quella del liberalismo, un’ideologia che enfatizza la dimensione economica e concepisce la libertà come possibilità del singolo individuo di accedere ai beni materiali e simbolici concepiti come “merce” di cui ognuno ha pieno diritto al fine di ottenere la propria autorealizzazione;

la lotta per l’affermazione di sé tramite la massimizzazione di merci e di riconoscimenti diffonde un modo di vita proprio di individui in perenne agitazione e perciò condannati allo stress ed alla scontentezza, corrompe la società divenuta mercato a discapito delle forme tradizionali di vita comune, infine amplia lo spazio di intervento dello Stato che invade i mondi di vita in precedenza autoregolati in modo comunitario: le relazioni interumane, la famiglia il territorio, e soprattutto il ciclo dell’esistenza: nascita, crescita, malattia, morte.   Continua

Bruno Perazzolo

Tutti sappiamo che perdonare spesso è difficile, PERO’ ci rendiamo meno conto del fatto che, a volte, perdonare può salvare la vita di chi perdona. Di più! Quando ci si accorge che la propria indulgenza è servita a far rialzare una “persona degna”, il perdono può addirittura migliorare la vita di chi si è dimostrato indulgente. È questa l’idea che, probabilmente, sta all’origine della pellicola, al solito decisamente ben condotta nella maniera in cui, da tempo, il cinema francese ha mostrato di saper fare.

Michelle è un’ex prostituta che, con la nascita della figlia (Valérie), ha abbandonato la professione. Il rapporto con la figlia è stato, poi, un idillio. Un idillio che è durato sino a quando non s’è saputo dell’ex professione di Michelle. Continua

Dario Nicoli

Se ci sentiamo vivi, cioè umani, non possiamo abituarci ai tanti segnali di smarrimento che ci inseguono tutti i giorni, a quello stato perenne di oppressione per le cattive notizie che per il crudele interesse degli editori dei media ci vengono gettate addosso per imporci un’attenzione non voluta assieme all’orrore di chi è obbligato ad abbracciare i segni del male che si annida nelle pieghe del nostro mondo caotico.

Non ci si può abituare neppure a quello stato di stordimento che deriva dall’essere perennemente esposti al bombardamento di messaggi, seduzioni, richieste di prestazioni che provengono da voci dissonanti con il desiderio del nostro cuore che chiede serenità e possibilità di sostare su ogni più piccolo dettaglio di bellezza. Che invece non vediamo, appannato com’è da una nebbia di sottile malanimo.

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Bruno Perazzolo

La presentazione di quest’altro video di Michel Sandel “la tirannia del merito: perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti”, video che raccomando caldamente (qualche mese fa ho introdotto il video “ciò che il danaro non può comprare”), insieme ad alcune considerazioni sulle recenti elezioni americane, rappresentano, entrambe, il modo migliore per riprendere e sviluppare l’argomento centrale sul quale, sin dall’inizio della sua fondazione, la nostra associazione, PensarBene, sta lavorando proponendo testi e altro materiale di approfondimento (podcast, recensioni di film e canzoni ecc.). L’argomento in questione è quello della separazione crescente tra élite e popolo che, a mio avviso, rappresenta attualmente il principale fattore sfidante dei sistemi democratici.Continua

Bruno Perazzolo

Il film richiama alla mente un incrocio di storie tra “Pretty woman” (1990) e “L’ultima corvée” (1973). Una prostituta di Brooklyn, Ani, incontra il suo “principe azzurro”, Zakharov. Questi, però, diversamente dal Richard Gere di “Pretty Woman”, si rivelerà nulla di più che un adolescente consapevolmente viziato. Infatti, come da manuale, la sua famiglia di moderni oligarchi russi, nelle pseudo-avventure pseudo-romantiche del proprio pargolo, consumate in “terra d’Occidente”, altro non vede che una sorta di tirocinio alla prepotenza di chi (Zakharov) deve crescere senza il senso del limite, senza mai ringraziare per davvero e senza mai dover chiedere scusa. Invece, proprio come nell’”Ultima corvée”, Igor, che sembra uscito dalla penna di un classico della letteratura russa, impersona la parte del “carceriere buono”.

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