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di Dario Nicoli

Il Covid, accanto ai drammi, ha anche portato qualche dono, uno dei quali indubbiamente è la pratica del camminare che ci ha fatto riscoprire il territorio in cui viviamo e ci ha affratellati alle tante generazioni che ci hanno preceduto, per le quali l’andare a piedi costituiva il principale mezzo di spostamento.

Il 2020 è stato l’anno d’oro della pratica del cammino: in piena pandemia, ed impossibilitati a mettersi in viaggio con gli abituali mezzi di trasporto, quasi otto italiani su dieci si sono mossi all’aperto per camminate veloci, fare corse o procedere in bicicletta. Molti, uscendo di casa, hanno potuto preservare non solo il proprio benessere fisico, ma anche quello psichico e spirituale.

Ovviamente negli anni successivi la mobilità pedonale ha avuto un calo, ma sembra sia rimasta in molte persone come piacere da gustare in alcuni momenti della giornata, dell’anno e della vita.

Sono sempre più numerose le compagnie di amici che vanno per le carrarecce dei borghi, per le mulattiere ed i sentieri di montagna, per i cammini dei pellegrinaggi. Lungo questi itinerari si incontrano altre compagnie o persone singole con le quali è facile entrare in dialogo essendo liberati dall’affollamento dei soliti pensieri e degli impegni che quotidianamente ci assillano.

Ma lungo il percorso la comunità itinerante si arricchisce di un rapporto di somiglianza con tutti coloro che in precedenza si sono posti sulla stessa strada che stiamo percorrendo.

Il cammino prende avvio dalla necessità di uscire dai lacci della vita accelerata che normalmente conduciamo e che si presenta spesso come una corsa sull’orlo del vuoto. Occorre però scegliere tra due modi del camminare: la via del viaggio individualistico o quella dell’avventura “incantata”. Il viaggio è quello di Christopher McCandless di Into the Wild, una vicenda in cui il soggetto procede per conto proprio convinto di non aver bisogno di nessuno, senza una vera meta e con scarsità di mezzi esteriori ed interiori. L’avventura è quella di Jim Hawkins dell’Isola del tesoro, che parte nella notte rispondendo affermativamente a chi gli dice “vieni con me”, quel cavalier Trelawney che sa cosa vuole e come fare: aiutare il giovane Jim, che è entrato in possesso della mappa, a recuperare il mitico tesoro del Capitano Flint.     

Il viaggio è quello di chi, anche nel mettersi in moto, rimane sempre attaccato a se stesso. Cerca un cambiamento di scena, delle emozioni e dei ricordi da tenere in memoria e semmai da comunicare in seguito agli altri. Una sorta di terapia psicologica, provando a mettersi su un confine tra sé e la realtà.  

L’avventura è orientata invece alla ricerca di ciò che ci manca, alimentata dall’attesa di un evento che riguarda la nostra esistenza. David Le Breton in Camminare. Elogio dei sentieri e della bellezza lo dice bene: «abbiamo la sensazione che alla fine del cammino ci aspetti qualcosa che era destinato solo a noi, una rivelazione non lontana da lì, un segreto che stia per venire alla luce».

Ci mettiamo in cammino spinti dal desiderio di scoprire ciò che è essenziale, della purificazione e della rinascita. Ma occorre considerare il rischio di stancarci senza che nulla di significativo sia davvero accaduto. Ciò accade quando noi tendiamo a mantenere sempre il pieno controllo del rapporto con la realtà, quando poniamo le nostre domande ed esigiamo delle risposte nella forma immaginata. Così il viaggio è un cammino sprecato in quanto ci mantiene entro l’Io instabile che avevamo prima di intraprenderne l’avventura. A meno che non accada qualcosa di simile ad una conversione, un’esperienza radicale che avviene solo quando smettiamo di cercare, ma ci lasciamo trovare.

Il camminare non ci porta entro un “altrove” estetizzante, quello celebrato dai filosofi dello spaesamento e del nomadismo, ma un ritorno rinnovato entro una familiarità stabile. Chesterton ci propone l’avventura come un ritorno rinnovato al nostro inizio. L’Uomovivo esce dalla porta di casa, procede sempre diritto, fino a che, fatto il giro del mondo, si ritrova a casa sua. Così la riscopre “più” casa di prima, piena di mondo e di legami stabili, in quanto il segreto «di questa nostra vita da uomini, così piena allo stesso modo d’incanto e di insoddisfazione» sta nell’aver ricevuto «per una buona ragione, l’amore per certi luoghi speciali».

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