Necessità di un confronto sul “curricolo della rinascita”

La scuola è diventata un tema di interesse pubblico, ma con un approccio parziale, centrato quasi esclusivamente sulla tutela della salute, come se la formazione fosse scontata e in fondo sempre uguale a se stessa. Il tutto in un clima di strumentalizzazione politica quando invece servirebbe unità e concretezza.

È necessario ampliare la riflessione al secondo tema fondamentale: quale formazione è adatta ai giovani del nostro tempo, tenendo conto di quanto di buono è stato realizzato nella fase del distanziamento e quanto invece di regressivo, così da comprendere come procedere nel “tempo dopo”.

Vogliamo aprire un confronto tra tutti coloro che ne sono interessati, al fine di chiarirci cosa significa concretamente – anche riprendendo il discorso di Draghi al Meeting di Rimini – rimettere al centro la scuola nella vita del Paese, per una rinascita e non solo una ripartenza.

Luci e ombre della DaD  tre temi per il rinnovamento

La fase del lockdown ha messo in luce l’importanza decisiva delle relazioni nell’apprendimento, della personalizzazione dei percorsi e del valore formativo della valutazione.

Purtroppo, ha anche portato ad una riduzione del raggio dell’azione didattica, limitato alle relazioni dirette docente-studente, oltre ad una quasi completa scomparsa delle attività formative reali, quelle che si svolgono in contesti operativi su compiti autentici: laboratori, progetti, stage formativi, service ed eventi.

Per evitare il pericolo di una regressione ad una didattica minimale, prevalentemente cognitiva e virtuale, dominata dall’insegnamento e dalle verifiche, entro una cerchia limitata di relazioni, occorre valorizzare quanto di buono è stato fatto prima e durante il lockdown per delineare i caratteri di un curricolo adatto a questo tempo in cui la scuola può rappresentare una leva per la rinascita.

Per avviare il confronto, proponiamo tre temi, più uno.

Essenzialità del curricolo

Cercare l’essenziale non significa sfoltire l’elenco – spesso esagerato – degli obiettivi, ma mettere in chiaro ciò che è indispensabile trasmettere alle nuove generazioni perché siano in grado di esercitare la loro libertà positiva nel «tempo dopo». Si tratta di abbandonare il relativismo etico spesso implicito, e di impegnarsi nella scelta di quel tesoro di saperi e valori la cui trasmissione ai giovani ci sta a cuore e la «fiamma etica» che intendiamo accendere in loro in quanto disposizione buona nei confronti degli altri, della realtà, di sé e del compito che in essa intendono / sono chiamati ad assumere, lasciandoci guidare dalle domande fondative: cosa vale per l’uomo? come si deve vivere (per essere felici)? cosa vale conoscere del patrimonio culturale della tradizione, e quindi quali valori/virtù si intendono sollecitare nei giovani?

In questo modo, potremo sostituire il Ptof con un vero e proprio curricolo, il documento che indica l’intesa dell’équipe circa i contenuti ed i valori della “consegna canonica” da fornire agli alunni, ed il percorso formativo offerto agli studenti, definito in base a tappe di crescita personale («compimenti») così che possano riconoscere i propri talenti e metterli in gioco al massimo delle proprie capacità.

Pluralità delle relazioni

Le relazioni che disegnano lo spazio di una didattica veramente formativa non possono limitarsi esclusivamente al rapporto – importante, ma non sufficiente – tra insegnante e alunno, ma debbono comprendere le famiglie e tre cerchie di contesti di apprendimento: la classe, la scuola e il territorio. Il confronto con le famiglie deve passare dalle rivendicazioni di dettaglio al consenso circa il profilo di “vita buona” da proporre ai loro figli. Nella classe va messa in moto la leva feconda della relazione tra i pari. Lo spazio dell’azione didattica deve trovare occasioni di superamento dell’esclusività della classe per aprirsi ad una dimensione di istituto. È necessario poi un patto di comunità consistente (non solo le reti, spesso ritualistiche e dispersive) con i soggetti che condividono con la scuola un impegno educativo costante nel tempo.

Compiti di realtà

Fatalmente, con il lockdown la scuola ha perso la componente dei compiti di realtà spesso svolti in collaborazione con soggetti del territorio. Sono queste le esperienze che, se ben progettate, consentono di perseguire una formazione compiuta, quella che promuove negli allievi l’autonomia e lo spirito di intraprendenza, esercitate in contesti complessi, allo scopo di far loro acquisire una visione appropriata, la cooperazione in team e l’indole alla soluzione creativa dei problemi.

Il cuore dell’approccio pedagogico adatto al nostro tempo è definito dai quattro pilastri del radicamento storico, del realismo, della cooperazione e dell’educazione alla complessità; l’assenza di situazioni reali di apprendimento porta ad un impoverimento della qualità della formazione a causa un eccesso di cognitivismo e di soggettivismo che rendono i giovani non solo meno formati, ma anche più insicuri e spaventati dalla prospettiva di doversi misurare personalmente, e fattivamente, con il mondo. Occorre quindi rinnovare la progettualità riferita alle azioni didattiche attive e sfidanti, tramite un nuovo modello flessibile e fruibile che combini le diverse modalità: a scuola, a casa, presso l’organismo partner, sapendo coniugare digitalizzazione ed esperienza reale.

L’ultimo tema può essere definito con lo slogan: “Basta riforme: avviare una politica dell’autonomia ‘di sistema’”.

La fase del distanziamento ha mostrato che le scuole sono vive e capaci di rinnovamento. Nei tempi di accelerazione dei processi reali, sono gli organismi presenti sul territorio ad avere “l’intelligenza delle cose”, mentre le strutture di secondo e terzo livello soffrono a causa di una impostazione divenuta improvvisamente obsoleta. Anche le normative scolastiche debbono essere passate al vaglio della essenzialità, in tre direzioni: abbandono da parte dei ministri di quel “narcisismo riformista” che ha avuto spesso esiti confusionari e distruttivi; sostituzione della pletora di leggi, leggine e norme minori con un testo unico sulla scuola, centrato sull’essenzialità e sul principio dell’autonomia virtuosa e di sistema; adozione di un processo dialogico di rinnovamento degli assetti scolastici basato su tre passi: sollecitazione di piani di rinnovamento d’insieme condivisi tra più scuole, monitoraggio attento alla replicabilità su scala più vasta, scrittura a quattro mani di dispositivi che agiscono (giuridici, metodologici, strumentali) sugli attori che favoriscono il successo della fase diffusiva.

A voi la parola!

3 commenti

  1. Di scuola si è parlato tanto in questi mesi e se ne parla quotidianamente. Della scuola si racconta poco la complessità e la magia che può generare. Più facile parlare delle molte criticità.
    Durante il lockdown si è cercato di investire in una formazione maieutica, che stimolasse soprattutto i più piccoli, a ricercare risposte ai tanti fenomeni che viviamo. Si è curata tanto la relazione, anche con il supporto di strumenti digitali, per restituire senso ad un’esperienza di angoscia e disorientamento. Chiaramente non tutti i docenti hanno intrapreso questa strada. Ma chi lo ha fatto ha investito tanto di sé, aspettando la riapertura per recuperare ciò che non è stato possibile far comprendere. Oggi sembra tutto lontano, le scuole hanno riaperto svuotate, di arredi e nuovamente di senso. Non sono più un luogo dinamico, ma un altrove non definito. Starà a noi renderlo un luogo di apprendimento. Come? La domanda che mi sovviene in questi giorni è se “stare in un contesto” è più importante di “partecipare ad un processo”. La scuola è un luogo di incontro, in cui si sviluppano relazioni e si vivono esperienze. Sarebbe interessante ripartire dal luogo. Ricercato e ricreato nel periodo del distanziamento e ridotto a mero contenitore nella fase della riapertura. Rispetto alla domanda “quale formazione è adatta” si dovrebbe allora aggiungere “quale luogo è confacente per svilupparla” e “come scandirne i tempi”. La relazione educativa si sviluppa in una dimensione spazio temporale a cui si deve dedicare attenzione e energie, perché compromette l’esito della proposta didattica. Mettere al centro la scuola per me vuole dire riprendere tre elementi fondamentali:
    – il contesto (Vygotskij, Montessori) per rendere le scuole dei luoghi belli e funzionali, ma anche contesti di dialogo tra gli attori coinvolti.
    – le esperienze significative (Dewey) per dare senso all’apprendimento
    – la relazione (Feuerstein) per una mediazione che sia intenzionale e reciproca.
    Serve però coraggio per difendere la qualità dell’apprendimento e per scardinare il ricordo nostalgico di una scuola ottocentesca che, dai racconti e dalle opere di cambiamento fatte da chi c’era, non funzionava nemmeno allora. Come promuovere coraggio e rinnovamento? Raggiungendo apprendimenti significativi “Whatever it takes”!

    Gabriella Morello

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  2. sostengo volentieri l’iniziativa.
    Attenzione però che oltre al lavoro dal basso e di rete, certamente indispensabile, serve anche un lavoro a livello istituzionale, senza del quale ci si espone a rischi di regressione e all’aumento delle disuguaglianze nel sistema

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  3. Naturalmente concordo con Arduino. Senza istituzionalizzarsi qualsiasi movimento si disperde. Il cenno “all’aumento delle disuguaglianze”, tuttavia, mi sollecita ad allargare il confronto anche perchè lo scopo di questo sito è quello di “far discutere civilmente” e, possibilmente, anche in modo stimolante. Sappiamo che la democrazia si nutre di eguaglianza sostanziale (non di egualitarismo) poichè la stessa assicura quella diffusione del potere, quella partecipazione che le risulta vitale. Il punto è come arrivarci a questa eguaglianza. L’idea più diffusa – principalmente in campo progressista – è che la si possa ottenere togliendo autonomia e responsabilità alla periferia e consegnando al centro, allo Stato Apparato, le relative competenze. Ora mi pare che questa ipotesi sia stata completamente smentita, prima che dalla logica (più si concentra potere più ci si allontana dal modello democratico: Montesquieu), dalla storia recente. Ovvero dal crollo delle ultime utopie stataliste – egualitarie: quella socialista e quella democratico sociale (Welfare State). Basterebbe uno sguardo ai dati sulla distribuzione della ricchezza mondiale per porsi, al riguardo, qualche valido interrogativo utile a comprendere come mai i cittadini si sentano sempre meno attratti dalla democrazia e fatichino sempre di più a coglierne le peculiarità rispetto ad altre forme di Stato più o meno illiberali.

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