G.K. Chesterton (2010). Uomovivo, Morganti editori, Treviso.

di Dario Nicoli

Dopo quasi tre anni siamo usciti dall’emergenza sanitaria per affrontare il tempo della “normale” convivenza con il covid, anche se diversi esperti vorrebbero mantenerci in uno stato di continua limitazione. Se pure il potere di decidere sulle esistenze degli altri genera dipendenza in chi lo esercita, la vita impone le sue ragioni e scuote ogni cellula del corpo di ciascuno ed anche di quello dell’intera società. Già da alcune settimane abbiamo visto i tanti segni della vita che riprende: gente che cammina per le strade, locali pieni, mostre ed eventi culturali come se piovesse…

Ora serve una lettura per rimettere in moto lo spirito perché entri in sintonia con il tempo del risveglio. La scelta non poteva non cadere su Uomovivo di Chesterton, un racconto stupefacente in cui Innocent Smith, un uomo debordante ed affascinante, sospinto da un vento turbinoso scuote con la sua vitalità la tranquilla esistenza degli ospiti di un’anonima pensione sulle colline sopra Londra.

Assieme a Smith, il protagonista della vicenda è proprio quel grande vento proveniente da Occidente. Smentendo il detto comune, non provoca tempesta, ma “come un’onda di irragionevole felicità” porta un soprassalto di vita in ognuno dei personaggi sorprendendoli con la forza del suo soffio: risveglia con il profumo dell’infanzia un ricordo a lungo seppellito, ridà calore all’amore ormai sbiadito, suscita simpatia ed amicizia là dove c’era indolenza e chiusura.

Ma non ne beneficia solo il cuore: inondando di luce ogni paesaggio d’intorno ed ogni angolo della locanda, il buon vento spalanca improvvisamente una porta nel cielo, offrendo agli uomini, vissuti a lungo nella prigione di luoghi comuni, la possibilità di arrampicarsi nella luce beata da cui presero inizio tutte le credenze, quello spazio tanto profondo da poter contenere tutti gli dèi. 

In quell’aria dolce e mite, simile a quella che si sente subito dopo un temporale, i nostri personaggi si liberano dall’impressione che tutti gli uomini sono obbligati ad una corsa, chi per migliorarsi e chi invece alla ricerca della tranquillità, ottenendo spesso un’agitazione monotona unita al senso del fallimento. Il vento ed il nuovo venuto provocano un effetto imprevisto su un’umanità composta da persone che sono state innamorate molte volte ma senza mai venirne a capo a causa dell’incostanza, da altre che si sono formate delle opinioni ma senza applicarle davvero avendole cambiate troppo spesso, da un popolo a cui manca la fiducia in se stesso e rassegnato all’idea di non poterci far niente. Sotto l’influsso dell’empito del vento e della contagiosa vitalità di Smith, i loro occhi imparano a vedere i particolari, come la pozzanghera che quando è piena di luce racconta l’infinito, mentre se la analizziamo obiettivamente appare come acqua sporca sparsa sul fango.

Essi hanno l’occasione di riconoscere la meraviglia che li circonda, smettendo di perdersi in esistenze sbagliate che, nell’impossibile sforzo di imporsi nel mondo e sulle cose del mondo, li rendono già morti mentre sono ancora vivi.

Hanno l’occasione di imparare a saper vivere non in uno, ma in due mondi: quello delle cose e quello dei riflessi che brillano sui bordi delle cose che provocano in noi la capacità di accettare l’arbitrarietà della vita, di vedere tutto come dono inaspettato e immeritato. Di capire che quello di cui abbiamo davvero bisogno non è perdersi, ma essere trovati.

Il succo del messaggio del libro lo si può ritrovare in questa frase, che sembra scritta apposta per noi vacanzieri della straordinaria estate del 2022: “Ci sono troppo ciottoli sulla spiaggia: dovrebbero essere tutti incorniciati”.

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