Condividere la ricerca alla scoperta della propria vocazione per poter vincere la solitudine e la morte dentro una vita più grande.

Bruno Perazzolo

“Potere e ricchezza generano solitudine e vanità”. Forse questa affermazione poteva sembrare “un eccesso filosofico” fino a qualche decennio fa. Ora, però, la cosa è più chiara da quando i nuovi ricchi si sono creati un mondo a parte. Un mondo virtuale di individui indaffarati ad “accumulare roba” nella vana speranza di non dover mai rendere conto di qualcosa a qualcuno, neppure alla morte. Due film. Il primo, “Quarto potere” (1941) ha fatto la storia del cinema. Il secondo, “Il banchiere anarchico” (2018), prende spunto dall’omonima opera di un grandissimo della letteratura, Ferdinando Pessoa (1888 – 1935). Entrambe le pellicole, la prima ispirata dalle vicende del magnate dell’editoria, William Hearst, descrive magistralmente la disperazione del borghese di fronte “al fatale trapasso”, la seconda il suo “glaciale isolamento già in questo mondo”. Condizioni, sentimenti, questi, che Vasco Rossi coglie alla perfezione nella sua “Gli angeli”.

Però, tutto questo, malgrado l’ideologia prevalente tenda a farlo credere, non è sempre stato e non è neppure obbligatorio che sia. Lo dimostrano film come “Juniper – un bicchiere di gin” (2021) e l’arte di Pedro Almodóvar. Di quest’ultimo, in particolare, è “la sovrana capacità” di andare oltre le ideologie, oltre quella “s-ragione che non conoscendo le ragioni del cuore arriva, persino, a negarne la possibilità”. Nei suoi film – e mi vengono in mente “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” 1988 e “Légami”, 1989 (semplicemente geniale) – per quanto la situazione sia caoticamente catastrofica, accade sempre il miracolo, il finale che non stava nelle premesse. Le figure, per quanto scombussolate, recuperano, in qualche maniera, una loro “integra dignità”. In “La stanza accanto”, Ingrid è una scrittrice di successo che ha “consapevolmente rimosso” la morte della sua vita. Marta è stata un’importante corrispondente di guerra che, dopo “una vita spericolata”, si ritrova ad affrontare il poco tempo che le resta con una figlia, cui non ha mai dedicato molta attenzione, “sadicamente assente” (quando Marta, oramai malata terminale, comunica alla figlia l’intenzione di praticare l’eutanasia, la figlia, con freddezza siberiana, le risponderà “è una tua scelta”: fine del discorso).  Marta e Ingrid sono amiche che si sono quasi perse a causa delle rispettive “vite in movimento”. A tenerle potenzialmente unite resta, tuttavia, la buona carriera professionale di entrambe, la comune appartenenza al ceto medio – alto degli “operatori simbolici” (lavoratori che manipolano significati), e, soprattutto, la sincerità del loro rapporto. Ciascuna ha avuto modo di conquistare, nel corso delle proprie vicende personali, innumerevoli traguardi senza aver mai concepito una chiara finalità. Paradossalmente saranno proprio la malattia e poi la morte di Marta a cambiare radicalmente le cose. A riportare, nell’esistenza delle due amiche, quell’umanità integrale che, nei momenti più drammatici, può venire solo dalla condivisione e dalla percezione che non tutto è accaduto inutilmente (poiché, anche queste ultime affermazioni potrebbero sembrare “esageratamente filosofiche”, per spiegarmi meglio, indico altri due capolavori: “l’Immensità” di Don Backy, Detto Mariano, Mogol, 1967, interpretata da una superba Gianna Nannini, e la pellicola “Still life”, Umberto Pasolini 2013).

Regia di Pedro Almodóvar, con Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola, Melina Matthews, di  genere drammatico, il film “La stanza accanto” è stato realizzato in  Spagna 2024, durata 107 minuti. È uscito nelle sale cinematografiche all’inizio di questo mese: dicembre ’24.

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