Bruno Perazzolo

Per chi, come me, viene da una formazione che ha avuto nella biologia e nell’ecologia dei sistemi, due fondamentali pilastri, riconoscere nell’uomo il necessario legame con il suo ambiente naturale iscritto nei comportamenti innati e nella sua dimensione affettiva (la sua parte più antica) non è certo un problema. Anzi! Però, è palese che l’uomo non è solo questo. L’intera famiglia dei Sapiens (100.000 – 200.000 anni fa) offre grandi evidenze della presenza, diffusa e ordinaria, di utensili e di rituali religiosi. Fatti, questi, che dimostrano chiaramente, già tra questi ominidi, la presenza della competenza linguistica e, quindi, della produzione culturale: l’altra colonna della nostra umanità.

Ma cosa c’entra tutto questo con il centralismo? A mio parere c’entra, eccome se c’entra! Un paio di domande possono chiarire il punto su cui intendo argomentare. Cosa accade ad una comunità quando viene privata di uno dei suoi fondamentali fattori culturali?
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Bruno Perazzolo – Dario Nicoli

La seguente proposta di sintesi ha per oggetto un percorso comune, durato circa tre anni, fatto di incontri a distanza, letture (incentrate su due testi: C. Lasch, “la ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia”, 1995 e M. Sandel, “Giustizia il nostro bene comune”, 2010) e interviste realizzate a cura dell’Associazione PensarBene. Il tutto focalizzato su due temi: quello delle maggiori sfide che attualmente interessano i sistemi democratici e quello, connesso, del rapporto critico che, all’interno di questi sistemi, si riscontra tra la dimensione comunitaria e quella delle libertà individuali. Per dare maggiore evidenza ai nostri argomenti, di tanto in tanto inseriremo, con qualche nota a piè di pagina e tra un paragrafo e l’altro, dei link ad alcuni nostri articoli, recensioni e podcast. Questi ultimi, in particolare, contengono introduzioni e letture di brani di testi che riteniamo molto significativi e illustrativi delle nostre tesi.  Divideremo i nostri ragionamenti tra una prima parte critica, che prende spunto principalmente dalla lettura di C. Lash, e una seconda, più costruttiva, incentrata sull’opera di M. Sandel.Continua

Bruno Perazzolo

Se è vero che la profezia è ispirata dal divino, allora Joker, nell’interpretazione superlativa di Joaquin Phoenix, sembra assomigliare di più ad una “parziale previsione” basata su logica e fatti. Prodotto nel 2019, il film anticipa di circa due anni l’assalto a Capitol Hill, il Parlamento degli Stati Uniti d’America, simbolo apicale della democrazia anglosassone, da parte del movimento MAGA (Make America Great Again) convinto di aver subito un grave scippo: la vittoria alle elezioni presidenziali del suo beniamino, Donald Trump. A tratti l’analogia è impressionante. Non solo la rivolta; non solo la violenza e i volti dipinti, quasi se si stesse per andare in guerra; colpisce la completa delegittimazione di ogni fonte di informazione ufficiale considerata, ipso facto, falsa. L’ennesima truffa perpetrata da un establishment ipocrita e delegittimato. Tra i due eventi, nella pellicola la sommossa ispirata dal Joker, nei fatti l’assalto al congresso USA, c’è però una differenza evidente, ma forse, malgrado l’evidenza, non molto rilevanteContinua

Bruno Perazzolo

Nel 1930 José Ortega y Gasset scriveva “La ribellione delle masse”. Un saggio che diventerà subito un classico, un capolavoro da molti considerato non meno rilevante del “Contratto sociale” di J.J. Rousseau (1762) o del “Capitale” di K. Marx (1867). Tra le tante riflessioni cruciali contenute nel testo, spicca il concetto di “uomo massa”…… lo scienziato, il tecnico, il professionista, l’uomo che padroneggia il suo angolo di sapere in maniera direttamente proporzionale alla sua ignoranza di tutto il resto. …….
Denise de Rougemont (1906 – 1985), in virtù del suo approccio interdisciplinare, non appartiene certo alla categoria dell’uomo massa. La sua opera più conosciuta, di ampio, duraturo e meritato successo, “L’amore in occidente” (1939), per chi avesse modo di avvicinarla, dimostra una cultura letteraria classica raffinatissima che viene completamente ribadita in “Federalismo culturale” (1963) … una conferenza … che de Rougemont tiene all’Università di Neuchâtel nel 1963 in occasione del 25° anniversario dell’Istituto Neuchâtelois. Al centro del suo discorso sta l’Europa e, la cosa interessante è che, malgrado sia trascorso più di mezzo secolo e nel frattempo siano intervenuti un sacco di cambiamenti non di poco conto, gli argomenti svolti da de Rougemont risultano, al tempo stesso, profetici e di perfetta attualità. Due in particolare.

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Dario Nicoli

Da pochi giorni sono stati diffusi gli esiti di uno studio condotto nella stazione polare Neumayer III in Antartide, da cui risulta che, in condizioni di isolamento totale, i partecipanti all’esperimento mostravano una riduzione del volume della corteccia prefrontale, quella regione cerebrale che interviene nella gestione delle emozioni, nella capacità di assumere decisioni e di pensare in modo razionale.
Questa scoperta ci aiuta a spiegare come, in una società nella quale la solitudine è considerata la più grave “malattia invisibile” del nostro tempo, le relazioni sociali sono diventate più difficili, le persone sono più vulnerabili, propense a interpretare con sospetto il comportamento degli altri, tendenti a risposte di paura e aggressività. Ma la spiegazione del perché ciò accade, ci porta all’origine dell’individualismo contemporaneo, quella concezione innaturale secondo cui l’essere umano, senza alcun legame stabile, ritiene di perseguire nella solitudine la sua autorealizzazione. Una condizione molto diffusa dovuta ad un modello sociale di matrice liberista, condiviso dai conservatori e dai liberal, dominato dall’economia dei consumi e dalla politica dei diritti soggettivi senza la giusta corrispondenza con i doveri. Continua

Il gruppo musicale e la lezione di ginnastica in un tempo nuovo

Donata Gradinati

Spesso e soprattutto in età adulta, cerchiamo nel tempo passato quel qualcosa di quando eravamo giovani, lo cerchiamo non solo per nostalgia, ma anche per voglia di rivedere  vecchi amici, o di riprendere a vivere oggi quello che abbiamo lasciato là, incompiuto o semplicemente non più vissuto per mancanza di tempo, per impegni di lavoro e di famiglia.
Desideriamo risvegliare i nostri talenti dormienti.
Tempo fa ho assistito ad uno spettacolo musicale in cui un gruppo di persone giovani, meno giovani che ancora lavorano e di persone in pensione, si esibiva con racconti e brani musicali; persone dicevo con in comune la passione per la musica. Quale occasione migliore per mettere in atto quel qualcosa di eccezionale che appartiene ad ognuno di loro, quella dote innata che oggi, grazie a questa opportunità, l’appartenenza al gruppo musicale,  il giovane coltiva e l’adulto riscopre.
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Dario Nicoli

L’industria dello sfruttamento dei giovani talenti musicali sta sprofondando nei flop dei troppi concerti programmati, che provocano pesanti debiti ai giovani artisti che hanno creduto a promotor abili a sfruttarne i sogni. Sembra stia finendo la stagione delle facili illusioni di chi pensa che basti il successo di uno streaming per poter accedere all’élite della canzone, senza la necessaria gavetta che consente una crescita graduale, maturata dall’esperienza. È l’ennesima prova della volubilità dei social: così come è facile ottenere i cinque minuti di celebrità, allo stesso modo è un attimo finire nell’ombra ed essere dimenticati. 

Un’eccezione molto illuminante è quella di Ultimo, nome d’arte di Nicolò Moriconi, cantante romano di 28 anni che ha dovuto affrontare agli esordi anni di delusioni e sconfitte nel mondo dei talent e che ha visto poi una crescita prodigiosa senza l’ausilio né del marketing né degli effetti speciali, sostenuta da seguaci (quasi due milioni di biglietti sinora venduti) che si sono riconosciuti in lui e nel suo messaggio vero, semplice e diretto.
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Bruno Perazzolo

Ci sono articoli che ti toccano in profondità e ti obbligano a riflettere. Questo, di Dario Nicoli, è uno di quegli articoli. Il giorno successivo alla lettura di “Papa Leone XIV e la speranza credibile”, come in genere mi succede, mi è venuto in mente il mito della Torre di Babele. Dovremmo dedicare più attenzione ai miti. Essi contengono metafore potenti e una saggezza capace di attraversare ogni epoca restando sempre, perfettamente, eguale a sé stessa. La prova? Il mito della Torre di Babele si trova nell’Antico Testamento e, precisamente, nel libro della Genesi, capitolo 11, versetti 1-9 della Bibbia risalente al VI – V sec. a.C. Però, malgrado la sua veneranda età, descrive alla perfezione la nostra epoca e la nostra attuale condizione. Quella dell’Occidente moderno rappresenta, infatti, il “tipo ideale” di una cultura che, nella sua versione egemone, ovvero nella sua versione liberale, si è consegnata integralmente all’impresa ingegneristica di costruire una società senza Dio.

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Dario Nicoli

Quel pomeriggio del 15 maggio, in un istituto comprensivo statale della periferia di Milano era in corso il collegio dei docenti. Qualcuno ha detto “è una fumata bianca!”. Immediatamente tutti i partecipanti si sono alzati in piedi, in silenzio. Un gesto sorprendente, innanzitutto per il dirigente che non sapeva come gestirlo, trovandosi di fronte ad un evento estraneo ai suoi compiti.

Quel gesto, simile a tanti altri accaduti in quel momento, è un segno di riconoscimento per una persona in grado di riempire il vuoto lasciato dalla morte di Papa Francesco, una figura che ha saputo entrare nel cuore di molti. Un gesto, però, accaduto pubblicamente, pur in assenza di parole e segni appropriati ad un evento di natura religiosa che, per convenzione, avrebbe dovuto essere riservato ai soli credenti.

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Bruno Perazzolo

Malgrado certo “immaginario collettivo” ritenga che le idee di comunità e di anarchia si sposino perfettamente, nella realtà le cose vanno in maniera completamente diversa ….
La pellicola che è stata tratta da una storia vera risalente agli anni ’90 dello scorso secolo. Philippe Héraud è un ex insegnante che, “insofferente della burocrazia e delle cose senza senso che si insegnano ai ragazzi”, si è dedicato, con la sua famiglia, alla pastorizia. Lascia i Pirenei, dove si era dapprima stabilito con le sue capre, per via di una centrale atomica in costruzione e cerca casa nelle valli occitane del Piemonte. La trova in un piccolo paesino di montagna, sperduto e in via di spopolamento, ma non del tutto spento. ….

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