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di Dario Nicoli

E’ stato da poco reso pubblico un manifesto sottoscritto da oltre 150 ricercatori delle facoltà economiche, che propongono in cinque punti un nuovo modo di pensare il rapporto tra la loro scienza e la realtà, basato su un importante principio etico: perseguire una creazione di valore che rispetti le leggi di natura, in primo luogo l’imperativo categorico della salvaguardia della specie, quello proposto di Hans Jonas, il filosofo tedesco considerato uno dei fondatori del pensiero ecologico.

Il manifesto riconosce la perdita del valore delle teorie economiche che pure hanno portato alle conquiste del passato, in quanto rischiano di diventare ostacoli alla comprensione dei problemi e delle opportunità del presente. Esse portano con sé tre errori: l’idea della disponibilità illimitata della “risorsa natura”, la concezione dell’impresa come organismo estraneo al contesto e orientato unicamente al profitto, il concetto di ricchezza come possibilità di consumo. Inoltre, non considerano la potenzialità dell’insieme di fattori individuali, collettivi e politici che entrano in gioco nel definire ciò che è davvero “valore” per una comunità inclusiva, giusta ed attenta all’equilibrio ecologico.

Il primo dei cinque punti riguarda il superamento della figura dell’homo oeconomicus proiettato unicamente al perseguimento dell’utilità materiale e psicologica, a favore della superiorità della razionalità sociale e dell’arte delle relazioni, in quanto siamo cercatori di senso, l’alimento che fonda la fiducia, ovvero il valore che sta alla base della nostra società e quindi anche dell’impresa e del lavoro.

Al secondo posto troviamo l’abbandono dell’idea che il termine “impresa” sia da attribuire solo a quella realtà che considera interlocutori solo i soggetti portatori di interessi (stakeholder), proponendo invece una pluralità di imprenditori e di forme di impresa più ambiziosi che guardano all’impatto sociale della propria opera e non solo al profitto.

Si propone poi di andare oltre l’uso del PIL come unico indicatore di benessere (questo punto è stato già affermato trent’anni fa dal Nobel dell’economia Amartya Sen), per adottare indicatori più “fini” come la soddisfazione e la ricchezza di senso della propria vita.

Al quarto posto abbiamo il superamento della concezione stato-individuo per valorizzare la sussidiarietà ovvero il vasto mondo comunitario e sociale nel quale viviamo relazioni di solidarietà: si tratta della cittadinanza attiva che considera la partecipazione e il capitale sociale essenziali per la soluzione dei problemi e la sopravvivenza della democrazia.

Infine, si mette sotto accusa l’atteggiamento di de-responsabilizzazione valoriale che ha caratterizzato il mondo accademico, che si vuole sostituire con l’interdisciplinarietà e la “terza missione”, un termine con il quale si sostiene lo stretto legame tra didattica, ricerca e ricadute sociali che da esse derivano. In questo modo la ricerca può assumere un carattere generativo, specie nel campo dell’economia.   

Si potrebbe dire: “sono solo parole”, ma queste parole assumono un’importanza decisiva quando riguardano una comunità scientifica come quella dell’economia, cui è attribuito un ruolo importante nella formazione delle giovani generazioni. 

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3 commenti

  1. Grazie Dario. Considero questo articolo una specie di “programma di ricerca” per il lavoro della nostra associazione con l’auspicio che il nostro rigagnolo possa confluire in un grande fiume di rinascita di cui sentiamo tutti un grande bisogno.

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  2. Grazie Dario, il tuo articolo è una mappa chiara e sintetica per la ricerca del tesoro del futuro.

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  3. Sottoscrivo l’analisi di Dario al manifesto dei ricercatori in ambito economico ! Non penso siano solo parole, anche perché ci vogliono parole per alimentarsi di pensieri che creino realtà che superino il dualismo uomo-natura e considerino invece l’unità imprescindibile uomo-ambiente. Il fatto che se ne siano finalmente accorti anche gli economisti, é un bel segno!

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