Foto di Sally Jermain da Pixabay

di Bruno Perazzolo

Francesco Bacone (1561 – 1626) pensava che scienza e tecnica avrebbero dato all’uomo quel dominio sulla natura che una certa interpretazione della Genesi 1,26-28 aveva promesso senza che la corrispondente versione della religione ebraico – cristiana ci fosse mai riuscita per davvero. Malgrado le molteplici evidenze contrarie, questa filosofia resta a tutt’oggi ampiamente dominante. Soprattutto in occidente, l’élite borghese ha fatto delle promesse messianiche della tecnologia il proprio credo fondato sulla desacralizzazione del mondo e, pertanto, sulla sua riduzione a semplice risorsa. Un’ideologia, questa della classe dominante, difficilmente scalzabile poiché si alimenta dell’accumulazione di ricchezza e di potere che consente di fronteggiare i crescenti problemi che questa visione genera attraverso un’innovazione sempre più veloce, “profondamente sconvolgente” e apparentemente, almeno nell’immediato, risolutiva.

Un discorso completamente diverso vale per le classi subalterne che si vedono quotidianamente “precarizzare” la propria vita da deliberazioni remote che comprendono sempre meno o non comprendono del tutto. Costoro, liberi dall’Hybris del potere, intuiscono meglio come stanno veramente le cose. Subconsciamente comprendono che la tecnologia non può liberare l’uomo. Genera, com’è naturale che sia, nuove dipendenze e nuovi problemi. In altri termini, genera un nuovo mondo dai contorni del tutto imprevedibili e dagli equilibri traballanti che si sostituisce al vecchio senza che nessun “membro del popolo” sia stato interpellato e ne porti la responsabilità. Credo si fondi su questa “oscura percezione” il “rigetto della scienza” che, abbondantemente, serpeggia nelle periferie urbane.

Proprio a questo punto del discorso l’articolo di Dario Nicoli “Da cos’è minacciata l’intelligenza naturale”, credo consenta di fare un passo in avanti. Se non ho capito male, Dario sostiene che il problema non sta nelle macchine (intelligenza artificiale), ovvero non sta nell’impiego di una certa tecnica al posto di un’altra. Il problema sta molto più a monte e, precisamente, riguarda il rapporto dell’uomo con la natura e con i propri simili all’interno del quale la tecnica e la scienza si sono sviluppate e, nel pensiero occidentale, hanno assunto un ruolo apicale modificando quello che, sino all’illuminismo, era stata una gerarchia pressochè universale che vedeva primeggiare la religione (etica) sul potere. Provo a spiegarmi meglio. Da quando l’uomo è apparso sulla faccia della terra, con lui hanno fatto la loro comparsa la religione e la tecnica. Grosso modo, sino al ‘600 europeo, i sacerdoti hanno sempre orientato il potere politico – militare e commerciale il cui esercizio traeva  legittimità proprio dal fatto di riconoscere la superiorità dell’etica entro i cui confini la tecnica doveva mantenersi. Questa gerarchia viene ribaltata dalla classe borghese che, paradossalmente, riduce la religione (che significa collegare) a un fatto atomistico – privato facendo così del potere in generale e di quello economico in particolare (mercato) il fattore dominante, se non unico, nella determinazione dei rapporti umani e dell’uomo con la natura. In questa direzione hanno cooperato sia il materialismo marxista, che espressamente ha concepito la religione come sovrastruttura delle forze produttive, sia le diverse versioni dell’idealismo culminanti nella beatificazione mondana dell’autodeterminazione dell’individuo. In base alle considerazioni di Dario, oggi siamo giunti al capolinea di questo pensiero che, isolando l’uomo dal mondo, antepone il potere all’incanto.

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