di Bruno Perazzolo

Tulgaa vive in città. È direttore di un albergo 5 stelle. Ha una relazione con una donna che ha già un figlio e che, insieme alla città appena accennata, fanno da sfondo all’intero racconto senza mai comparire sulla scena. Una telefonata inaspettata avvisa Tulgaa che il padre adottivo sta morendo. È così che Tulgaa torna al piccolo villaggio nel bel mezzo della steppa mongola che, insieme al padre rimasto solo, aveva lasciato da giovane, probabilmente per inseguire il sogno di una vita migliore. Ad attenderlo il paesaggio mozzafiato della sua infanzia, una piccola comunità che sopravvive conservando costumi e tecniche agricole secolari e la storia di un bambino, Tuntuulei, del tutto simile alla sua. Il film, cha a tutta prima sembra voler culminare in una bella favola a lieto fine, improvvisamente prende la piega tragica. La tragedia è quella di un uomo, Tulgaa, che a suo tempo, avendo sofferto una perdita irreparabile, per quanto la solitudine possa affliggerlo, non è più in grado di assumersi la responsabilità di un rapporto profondo con i propri simili.

La pellicola, tratta dal romanzo di T. Bum-Erden, ottimamente interpretata, girata in un ambiente naturale “meravigliosamente sconfinato” e in un contesto umano di indubbio fascino, sembra, a tratti, direttamente improntata all’esperienza immaginifica di Tuntuulei, il bambino protagonista. Regia di Amarsaikhan Baljinnyam, genere drammatico, Mongolia 2022, durata 90 minuti, il film è attualmente visionabile solo nelle sale cinematografiche.

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