Il valore della democrazia ed il dovere di cura

La democrazia rappresenta il tema centrale di tutta la nostra riflessione in quanto forma politico istituzionale propria della civiltà Occidentale, garanzia di quei valori di libertà, uguaglianza, solidarietà e partecipazione che connotano il modello di convivenza in cui ci riconosciamo. Un modello che consideriamo appropriato all’idea di felicità come ricerca del compimento delle proprie potenzialità entro un legame di amicizia con la vita del mondo in cui siamo una sola umanità.

L’autentica democrazia non si esaurisce entro un ordinamento, ma rappresenta l’espressione di una visione che abbiamo ereditato dai grandi che ci hanno preceduto, variamente elaborata nelle diverse culture e religioni, secondo cui la vita è concepita come dono affidato a ciascuna persona entro una autorelazione che rimanda non all’ordine della proprietà ma a quello della responsabilità e della reciproca cura.

Le caratteristiche che rendono preziosa la democrazia ne indicano anche la fragilità: essa non è una condizione acquisita una volta per tutte, ma richiede una speciale cura senza la quale decade, si autodistrugge ed apre la strada ad ordinamenti che ne smentiscono i fondamenti.

La cura della democrazia richiede tre tipi di vigilanza:

  • della natura relazionale della vita che non può essere concepita esclusivamente come bene privato;
  • della gratuità del dono che trascende ogni sistema di organizzazione economica;
  • della vitalità che si traduce nella capacità di replicare alle sfide della storia conservando ed approfondendo la sua natura primigenia[1].

I tre quesiti e la prima tappa del percorso

Sapendo che, come in altre fasi storiche, la democrazia si trova oggi in una crisi di grandi proporzioni, abbiamo ritenuto nostro dovere realizzare un confronto approfondito, ponendo a noi stessi tre quesiti guida:

  • Quali sono le evidenze della crisi che sta attraversando la democrazia?
  • È fondato il giudizio dei paesi retti da autarchie che da tempo sostengono la maggiore efficienza del loro sistema politico rispetto a quello di area democratica? 
  • In che modo i cambiamenti intervenuti nei paesi democratici hanno messo in crisi i sistemi politici retti dalle democrazie ed i principi sui cui questi si fondano (libertà, persona, comunità, equilibrio tra i poteri, dialogo tra posizioni pluralistiche…)?

Abbiamo deciso di iniziare il nostro cammino con tre incontri sui podcast riferiti al libro del 1995 di Christopher Lasch dal titolo La ribellione delle élite, più uno di sintesi di quanto quest’opera ci ha suscitato in risposta ai tre quesiti di fondo circa la crisi della democrazia.

La prima tappa

La prima tappa del 13 giugno ha avuto per oggetto i due primi podcast: “Introduzione: il ritorno del conflitto di classe” e “Lo stile delle nuove élite”.

Lasch sostiene che le società democratiche sono corrose dal profondo dall’ascesa della meritocrazia, intesa come parodia della democrazia. Infatti, la mobilità sociale, la promessa universale di avanzamento per chi abbia talento, che deriva dall’ideologia liberale, non esaurisce affatto l’idea di democrazia. Oltre a scontrarsi con disuguaglianze crescenti che tendono, di fatto, a ridurre le effettive possibilità di ascesa sociale, la meritocrazia non può in alcun modo essere confusa con la democrazia poiché il fondamento di quest’ultima poggia esattamente sul suo opposto: l’idea che tutti i cittadini, CHE ASCENDANO O MENO NELLA SCALA SOCIALE, debbano in concreto poter accedere a determinati standard che ne assicurino la dignità e il rispetto reciproco: ad es. un lavoro dignitoso, un’istruzione di base di qualità, forme di partecipazione effettiva alla vita collettiva ecc. In breve, la meritocrazia può forse essere intesa come un indicatore del tasso di democrazia di un paese, ma non può certo essere concepita come la sua essenza. Al contrario, la riduzione della democrazia a meritocrazia, determinando disuguaglianze crescenti, favorisce la formazione di élite che accumulano potere, denaro, prestigio e privilegi, generando quel ritorno al “conflitto di classe” che è la negazione stessa della democrazia. 

Ma qual è lo stile delle nuove élite meritocratiche che hanno concorso allo “slittamento” del significato del termine democrazia dal “principio maggioritario” alla “sovranità del talento”?

Le parole chiave sono “cosmopolitismo”, “nomadismo” e “inquietudine”. Le nove élite sono perennemente a caccia di opportunità e quindi dotate di una maggior tendenza migratoria che costituisce il prezzo del successo, inseguono il miraggio della libertà assoluta, della leggerezza e dello slegame confinando nel mero folclore, vagamente nostalgico, tutto ciò che ha a che vedere con il costume, l’appartenenza, la tradizione, il lavoro manuale.

Queste élite, che comprendono non soltanto i manager delle grandi imprese, ma tutte quelle professioni che producono e manipolano l’informazione, la linfa vitale del mercato globale, non avvertono nessun obbligo rispetto al passato, ai propri simili ed al territorio in quanto la loro ideologia si basa sul principio che “tutto dipende solo da te (principio meritocratico)”. Specialmente si sentono separate dal popolo, verso il quale si sentono irresponsabili e che considerano tecnologicamente arretrato, politicamente reazionario, repressivo nella morale sessuale, retrivo nei gusti culturali, banale e ottuso: il popolo, infatti, è ciò che resta una volta sottratte le persone di talento.

Le classi intellettuali sono fatalmente estraniate dagli aspetti materiali della vita visto che l’unico rapporto che hanno con il lavoro produttivo di beni materiali è rappresentato dal consumo. Vivono in un mondo di astrazioni e di modelli computerizzati, una “iperrealtà” ben distinta dalla realtà fisica in cui vivono gli uomini e le donne normali. Sono mossi dalla fede nella “costruzione sociale della realtà intesa come manifestazione narcisistica della propria – individuale soggettività – il dogma del pensiero postmoderno – che ben si adatta a chi vive in un ambiente artificiale, dominato dalle relazioni mercantili, da cui è stato rigorosamente escluso tutto quanto resiste al controllo umano.

Tre motivi a favore della democrazia

Vale forse la pena di esplicitare qui i due mondi che hanno fatto da sfondo al nostro primo incontro: quello a base liberale e quello illiberale.  Si tratta di mondi caratterizzati da sistemi politici e riferimenti culturali molto differenti. Se nel cuore del mondo liberale si è diffuso un individualismo esasperato che confina con l’egoismo ed una sempre più iniqua distribuzione della ricchezza, al centro dei sistemi illiberali c’è lo stato, tendenzialmente a partito unico, che, avvalendosi di ideologie nazionaliste basate sul sangue, sul suolo o sull’etnia, legittima il suo controllo su tutto: l’economia, l’informazione, la cultura ecc. con esiti non meno iniqui sulla distribuzione della ricchezza (formazione di oligarchie gravitanti intorno al partito unico).

Ora, come sostiene Lasch, nei sistemi liberali sono proprio le élite meritocratiche i ceti che con più forza e potere mediatico, nell’ottica della completa emancipazione soggettiva, promuovono la flessibilità. Implementano, cioè, un cambiamento sempre più veloce, improntato al relativismo etico[2] e, pertanto, orientato alla deregulation sia dei mercati (destra) e delle relazioni sociali (sinistra) minando alla base – tramite la proliferazione di diritti pseudo-fondamentali – ogni forma di legame tradizionale e, quindi, di solida comunità e autorità politica: quella democratica compresa.

Approfondendo la riflessione, sono emersi tre motivi a favore della democrazia:

  1. La libertà:

Il valore della libertà è la pietra angolare di tutti gli ordinamenti democratici. L’art. 2 della nostra Costituzione lo riconosce pienamente e l’art. 3 lo contestualizza delineandone il contenuto in modo encomiabile. Sennonché, in Italia, come in ogni altro Paese dell’Occidente, è proprio su questo concetto, soprattutto a partire dagli anni sessanta, che si è verificata una notevole traslazione di significato: dalla libertà fondata sul rispetto della persona e sulla partecipazione di cui tratta il 2^ comma dell’art. 3 “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva PARTECIPAZIONE DI TUTTI      i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, si è passati alla libertà intesa come DIRITTO all’autorealizzazione. Dobbiamo pertanto a questo cambiamento semantico, anche nel nostro Paese, una serie criticità degli ordinamenti democratici che ne costituiscono il “fattore sfidante” dei prossimi anni a venire. Si tratta, altresì, del “grande tema” intorno al quale è nata la nostra Associazione. Anche se non si dovrebbe mai porre limiti alla provvidenza, PensarBene è stata costituita con l’ambizione di procurare alle persone interessate un “piccolo”, prezioso spazio dedicato al lavoro culturale, se non risolutivo, almeno capace di concorrere alla crescita di quell’humus di idee dal quale, speriamo, possano intravedersi nuove strade per una rinnovata vitalità della nostra democrazia.

  1. L’uguaglianza

L’eguaglianza politica, propria della democrazia, si fonda su un sentimento che a sua volta deriva dalla percezione che, aldilà delle disuguaglianze sociali ed economiche, oltre che culturali, tutti noi cittadini “pesiamo” nella stessa maniera nella vita civica (principio dell’eguaglianza sostanziale art. 3 c. 2 Cost.). Occorre però aggiungere che tale percezione è messa in discussione soprattutto dal mondo dei produttori – i lavoratori che operano in ogni ambito della società – che avvertono il peso delle diseguaglianze, che risultano acuite dagli esiti della crisi economica e di quella pandemica. Il principio del merito, con cui le élite vorrebbero giustificare i loro privilegi, contrasta radicalmente con la mancata “democratizzazione delle competenze” come condizione di accesso alle opportunità sociali e lavorative alla portata di tutti i cittadini. Mentre nei sistemi autarchici ognuno è costretto a fare ciò che impone il governo, le democrazie devono impegnarsi nel ridurre le barriere che, opponendosi all’uguaglianza sostanziale tra i cittadini, impediscono agli stessi di sentirsi parte di un unico popolo. In altri termini, occorre intervenire in modo che le nuove ricchezze non si sommino alle vecchie impedendo, di fatto, pari opportunità di accesso alle occupazioni maggiormente legate alle dinamiche innovative dell’economia e della società.

  1. L’appartenenza

Al fondo della democrazia vi è un sentimento di appartenenza ad un mondo nel quale ci si riconosce e si è contenti di vivere. Non solo: un mondo che ci si impegna a difendere dagli attacchi che gli vengono rivolti sia dall’esterno che dall’interno. Occorre un’appartenenza “particolare” ad un luogo, una comunità specifica, un popolo, una nazione affinché possa essere sostenuta un’appartenenza che va oltre la nazione ed anche oltre l’Europa e che affratella tutti gli uomini, qualsiasi sia la loro cultura e la loro condizione. L’idea di appartenenza propria dell’Occidente non può essere privatizzata, essendo una struttura che connette e che lega tutti in quanto portatori di diversità, grazie alla quale costruiamo la nostra identità. Questo sentimento rappresenta un valore morale che va oltre il principio economico; è qui che si coglie l’ambiguità della globalizzazione basata sullo slegame e sull’omologazione mercatista / economicistica che nasconde le disuguaglianze e le dinamiche di sopraffazione e di sottomissione.

La democrazia non è uno stato ma un processo

Dalla riflessione sulle sfide del passato e del presente, e dal confronto tra democrazie ed autarchie, è emersa, al termine del primo incontro, un’idea illuminante: la democrazia possiede una qualità che possiamo definire “storicità”: il fondamento su cui poggia il suo modo di vita la rendono un sistema aperto, capace di assumere, nel corso del tempo, una forma sempre nuova, ma sempre fedele a se stessa, mentre le autarchie, in quanto sistemi chiusi, sono ossessionate dal ritorno al sempre uguale esponendosi ogni volta alle dure repliche della storia.

Il carattere storico della democrazia, che ne spiega la natura processuale, deriva dalle sue stesse dinamiche: il pluralismo politico e l’alternanza nell’esercizio del potere che assicurano maggiormente l’equilibrio inclusivo delle molte identità che le compongono; il flusso continuo che caratterizza il suo assetto sociale stratificato  come esito della mobilità verso l’alto capace di selezionare le migliori competenze.

Il film Gifted Hands – Il dono[3] ci propone la storia di come un ragazzo di estrazione popolare sia potuto diventare un famoso neurochirurgo di fama internazionale alludendo, altresì, ad un significato più ampio del      “merito” che, oltre al “successo” del singolo individuo, dovrebbe comprendere anche la possibilità concreta di mettere in gioco i propri talenti per il bene dell’altro. Sennonché, la stessa vicenda evidenzia tutti i limiti che lo stesso merito può incontrare essendo, di fatto, spesso disconosciuto all’interno di altre professioni, compromesso dalle disparità delle cosiddette “condizioni di partenza”, frutto di appartenenze politiche o di relazioni sociali che poco hanno a che fare con il talento. In ogni caso, la consapevolezza di questi punti di forza dei sistemi democratici rispetto a quelli autoritari, non dovrebbe mai far venir meno la consapevolezza della loro fragilità, della loro eccezionalità e della possibilità di un declino irreversibile del quale, sin qui, la storia stessa ha fornito ampia testimonianza.


[1] R. Mancini (2011), La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d’essere un mercato, Edizioni Messaggero, Padova.

[2] Il relativismo etico fa sì che il talento sia legittimato ad esprimersi in tante maniere più o meno lecite e/o eque 

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Gifted_Hands_-_Il_dono

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1 commento

  1. Author

    Di seguito inserisco, per conto di Lucia Pezzin. il testo del suo commento

    Ho letto il testo del Resoconto e condivido quanto scritto.
    Il sistema democratico ha permesso all’Italia di progredire e di far parte degli stati uniti europei basati sul principio di democraticità.
    A mio giudizio vi è il rischio però che i paesi democratici, in quanto tali, possano liberamente decidere il destino del proprio stato non in linea con alcuni principi politici e di mercato degli altri stati dell’Unione Europea. Il conflitto russo-ucraino ne è la prova in quanto, per necessità e dipendenza energetica dalla Russia alcuni stati dell’Europa fanno scelte diverse secondo il proprio fabbisogno per non compromettere i legami socio-culturali e di mercato intrattenuti con la Russia prima del conflitto russo-ucraino. Un’Europa autarchica indirizzerebbe invece gli stati ad una unica scelta che non può essere fattibile per cui è meglio una Europa democratica basata sui principi di pace, di rispetto dei diritti civili e umani, in libertà, sia pur nelle sue contraddizioni.
    La Russia, sta mettendo a dura prova la stabilità democratica dell’Unione Europea. La crisi democratica c’è, ma poiché il sistema democratico consente e dà spazio alla opinione pubblica, come afferma nel video Roberto Benigni, l’Italia ce la farà a far fronte, a superare l’ attuale crisi e, col buonsenso, anche coinvolgere gli altri stati europei. Occorre molto ottimismo, volontà e sacrificio a scelte onerose a cui saremo chiamati nei prossimi mesi.

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