di Dario Nicoli

Cosa accade quando un estraneo giunge in un piccolo centro urbano provenendo dalla grande città?

Nell’immaginario di tanti libri e film che rievocano il passato, l’impatto con le comunità “tradizionali” assume sempre un carattere tragico, esito di un duplice ed escludente pregiudizio. Questi temi sono molto presenti nelle narrazioni delle famiglie: la nonna che non ha potuto studiare perché femmina, lo zio che è andato a convivere con la donna amata cambiando paese perché nel suo era diventato il bersaglio di una continua riprovazione. Sono epopee che vengono narrate affinché le generazioni successive traggano insegnamento dalle vicende del proprio casato, ma continuamente evocate anche quando il mondo tradizionale si è dissolto. Succede così quella dissonanza emotiva e culturale che accade quando viene applicato ad una realtà nuova uno schema mentale che impedisce di comprendere davvero il mondo in cui si vive.

Le comunità tradizionali non ci sono più in quanto l’individualismo, il pluralismo dei modi di vita ed una certa tolleranza hanno preso piede anche lì; sono stati coinvolti per primi i territori turistici sotto l’influsso di gente “di fuori” con costumi di vita più aperti, ma è risultata decisiva la mobilità del lavoro e delle residenze, associata all’effetto dei media sull’immaginario, sullo sfondo di una condizione di benessere che coinvolge chi ne fa esperienza ma anche chi desidera accedervi. Si può dire che, ad esclusione di poche aree interne,  non esistono più il borgo, il paese ed il quartiere di una volta, in quanto città e campagna si sono mescolate, sono sorte città lineari sulle linee di comunicazione, insieme ai “non luoghi”: i centri commerciali, le stazioni e le piazze senza alcun tratto peculiare in quanto neutri, non identitari, non relazionali e totalmente mancanti di qualsiasi legame con la storia. I “luoghi antropologici” hanno vissuto un’epoca di declino che è proseguita per decenni. A partire dagli anni ’70 si è innestato però su questo movimento un fenomeno di rinascita delle comunità che col tempo ha assunto dimensioni sempre più estese: i comuni hanno messo mano ad un’attenta riqualificazione urbana ed hanno pubblicato testi sulla storia locale, gruppi di cittadini hanno rievocato le sagre del passato magari inventandone di nuove, altri si sono dedicati alla tutela ed alla valorizzazione del territorio. Le comunità rinascenti hanno assunto una disposizione totalmente inedita: “mettere in mostra” la propria bellezza, attirando così un pubblico mosso dalla ricerca di ciò che è autentico, duraturo e capace di donare un sentimento di appartenenza veritiero.  

Ne è sortita una letteratura ed una filmografia a tratti stucchevole come una sorta di nuova arcadia, ma sullo sfondo emerge una nuova conflittualità sulla linea di tensione globale/locale, la cui posta in gioco è costituita dalla preservazione di ciò che si intuisce essere un valore prezioso ed insieme fragile: la comunità e l’integrità dello stile di vita.

Il film del 2009 New in Town – Una single in carriera, certamente non considerato “d’autore”, ha aperto un filone interessante in riferimento alla nostra questione. Lucy Hill, giovane donna in carriera che fa parte del consiglio di amministrazione di una grossa industria alimentare con sede a Miami, viene mandata a dirigere uno stabilimento in una cittadina del Minnesota con il compito di riconvertirlo dimezzando il numero dei dipendenti. È un mondo completamente diverso dal suo in cui fatica ad entrare, con l’aggiunta dei problemi di acclimatazione alle temperature glaciali dell’inverno del Midwest settentrionale. Le persone sono cortesi ed accoglienti, ma esageratamente schiette ed alla buona. La decisione dell’impresa madre di chiudere lo stabilimento, che contrasta con il crescente apprezzamento della laboriosità e della lealtà che contraddistingue la gente del posto, unitamente al sentimento che comincia a legarla al capo sindacalista Ted, portano Lucy a cambiare completamente il suo modo di pensare, ed alla decisione di lottare per difendere gli interessi dei lavoratori e del territorio.

Due sono i caratteri che contraddistinguono la nuova comunità da quella tradizionale. Innanzitutto il venir meno di un’identità dettata esclusivamente da fattori anagrafici – la lingua, la terra e il sangue – e sostituita da una comune identificazione in un ideale proprio di persone impegnate in una lotta contro le caratteristiche alienanti del modo di vita individualistico: l’inquietudine vacua, sempre alla ricerca di esperienze consonanti con  le proprie preferenze soggettive, ma senza mai legarsi ad una comunità o ad un luogo, sullo sfondo di una visione scettica della vita.

Inoltre il neo civismo che si esprime nel sentirsi parte viva, ed attiva, delle vicende di una comunità territoriale come luogo del corpo, della mente e dell’anima, che porta con sé uno stato di benessere dotato di pienezza e stabilità nel tempo.

Si tratta di una versione “esistenziale” del municipalismo popolare che mobilita le persone intorno ad iniziative che mirano a rispondere ai bisogni specie dei più deboli, a preservare il territorio, a promuoverne le ricchezze e metterne in luce l’autenticità e la bellezza. Le nuove comunità possono essere interpretate come la risposta alla solitudine, uno dei problemi più gravi della nostra società, che affligge ugualmente metropoli, periferie e aree interne. Essa nasconde una povertà economica, di cura, ma anche esistenziale che non necessariamente si lega alle due precedenti. Vi è infatti una solitudine che impoverisce l’esistenza e che colpisce anche coloro che possiedono mezzi economici tali da potersi garantire i migliori servizi, in quanto non si può pagare ciò che sentiamo mancante, quando si tratta delle relazioni naturali che ci fanno riguadagnare il mondo comune.

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