Bruno Perazzolo

Ci sono articoli che ti toccano in profondità e ti obbligano a riflettere. Questo, di Dario Nicoli, è uno di quegli articoli. Il giorno successivo alla lettura di “Papa Leone XIV e la speranza credibile”, come in genere mi succede, mi è venuto in mente il mito della Torre di Babele. Dovremmo dedicare più attenzione ai miti. Essi contengono metafore potenti e una saggezza capace di attraversare ogni epoca restando sempre, perfettamente, eguale a sé stessa. La prova? Il mito della Torre di Babele si trova nell’Antico Testamento e, precisamente, nel libro della Genesi, capitolo 11, versetti 1-9 della Bibbia risalente al VI – V sec. a.C. Però, malgrado la sua veneranda età, descrive alla perfezione la nostra epoca e la nostra attuale condizione. Quella dell’Occidente moderno rappresenta, infatti, il “tipo ideale” di una cultura che, nella sua versione egemone, ovvero nella sua versione liberale, si è consegnata integralmente all’impresa ingegneristica di costruire una società senza Dio. Ha provato, cioè, l’Occidente, a tenere insieme “le persone” senza che queste condividessero un’idea di vita buona che ne facesse da collante. Simmetricamente, la stessa cultura liberale, ha necessariamente confinando sia Dio e la virtù, nel privato dell’individuo. “Da animali a Dei” è il titolo di un famoso libro di Y.N. Harari, ma è anche la sintesi migliore di un percorso che, in Occidente, ha trovato il suo perfetto compimento. Alla fine di questa storia l’uomo si concepisce come sostanza autonoma (non creata e quindi senza debiti con nessuno) libera di creare come atto della propria manifestazione esteriore. Libera di creare a partire dalla sua, SOLITARIA, “volontà di potenza”. Alla fine della storia l’uomo – individuo si è fatto, da sé medesimo, Dio.

“Ascesa e declino dell’ordine neoliberale” è il titolo del recente libro di Gery Gerstle, ma è anche la fine che, nel mito, tocca di fare agli individui fattisi Dei. La mancanza di un linguaggio comune, l’impossibilità di comprendersi e sostenersi reciprocamente in assenza di uno spirito condiviso, getta le persone nell’incertezza, nella solitudine e nell’angoscia, nella disperata e, per lo più, frustrante ricerca di un riconoscimento consumistico e /o social-mediatico che la rottura dei legami comunitari ha reso, se non impossibile, del tutto evanescente. Tutte circostanze, quelle appena elencate, che spiegano bene l’esito paradossalmente di una società che, ritenendosi capace di assicurare a tutti il massimo di libertà, al termine del suo sviluppo si ritrova ad essere, nè più nè meno, che un luogo di sopraffazione alla mercè della legge del più forte e della tirannia dell’ultimo oligarca.

Ma allora, se questa è la condanna che si profila all’orizzonte dell’uomo che, sospinto dall’arroganza, ha provato ad impadronirsi del cielo, cosa ci può salvare? Forse, l’inizio, potrebbe essere un semplice gesto di umiltà. Insomma, un gesto che ci renda realmente disponibili all’amore e alla carità, ovvero ad accogliere quei legami capaci di fare di ciascuno di noi La Parte di una Totalità più grande del nostro IO.

2 commenti

  1. In questo altrettanto coinvolgente articolo, percepisco il vuoto che nel tempo si è inserito nell’uomo di oggi. Vuoto inteso come parte malata che necessariamente ha bisogno di cura. È il vuoto affettivo che percepisco. Nella solitudine più totale, l’individuo trova riscontro in un comportamento che lo spinge sempre più a nutrirsi del nulla. L’ essere umano va ripreso per mano e ricondotto a quel senso di appartenenza, va riportato a riavere la coscienza di far parte di un progetto più grande che coinvolge tutto e tutti. L’individuo ha bisogno di sentirsi voluto bene per poter capire il senso della propria esistenza e sentirsi parte integrante di tutto ciò che lo circonda e lo accoglie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.