Battiato e Gaber, due geni sopra le righe

di Dario Nicoli

Nello spazio di pochi mesi sono apparsi due film su altrettanti artisti fondamentali del sessantotto e del periodo ad esso successivo, uniti dall’aver intrapreso percorsi lontani dalla categoria dei cantautori.

A un anno dalla morte, il 18 maggio su Rai 1 è apparso “Il coraggio di essere Franco”, scritto e diretto da Angelo Bozzolini, un itinerario guidato dalla voce narrante dell’attore Alessandro Preziosi e con la preziosa partecipazione di alcuni amici che con lui hanno condiviso la vita e il lavoro artistico, sull’opera e sulla vita di questa figura sorprendente della musica pop con incursioni anche nella lirica e tante invenzioni tra esperimenti elettronici e linguaggio mistico.   

Il film accompagna lo spettatore nel cammino di Battiato che, da un inizio underground e introverso giunge al successo con uno stile completamente nuovo fatto di eleganti invenzioni musicali (Centro di gravità permanente) ed echi di arie popolari (Cuccurucucù). A differenza dei colleghi cantautori che sono rimasti nel tempo sempre aggrappati allo stile che li ha portati al successo, il “maestro” Battiato decide di reinventarsi aprendo una nuova strada della musica d’autore con opere romantiche (Il signor G e l’amore), di denuncia sociale (Povera patria) e con La cura, che ha avuto un enorme successo nonostante la difficoltà del testo in cui amore e spiritualità si intrecciano in modo indistinguibile : “Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza / Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza”. Una ricerca spirituale svolta tra diverse fedi, che è culminata idealmente nell’incontro con papa Woytila quando, durante l’esecuzione di E ti vengo a cercare, si emozionò a tal punto da interrompere il canto, spiegando in seguito che era rimasto fulminato dalla presenza del Pontefice.

Il secondo è “Io, Noi e Gaber”, docufilm scritto e diretto da Riccardo Milani e andato in onda la serata di Capodanno nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa, dopo il successo riscontrato nelle sale cinematografiche. Anch’esso è costruito come un itinerario nell’opera e insieme nella vita del genio libero di Giorgio Gaber, dagli inizi nei locali di Milano col gruppo degli artisti poi divenuti famosi, al rock con Adriano Celentano, all’incontro con Enzo Jannacci, alla collaborazione con Mina. Tra le canzoni di questo esordio sono Ciao ti dirò scritta con Luigi Tenco, La ballata del Cerutti Gino, Il Riccardo, Torpedo blu, Lo shampoo.

Sono gli anni della popolarità e del Gaber “pagliaccio” come dirà in Suona chitarra: “Se potessi cantare davvero / Canterei veramente per tutti / Canterei le gioie ed i lutti / E il mio canto sarebbe sincero / Ma se canto così io non piaccio / Devo fare per forza il pagliaccio”.

L’incontro con il mondo della contestazione rappresenta per lui, che era inquadrato come piccolo borghese, la svolta dell’impegno, mettendosi alle spalle la popolarità televisiva. Il desiderio di una canzone d’autore che possa provocare le coscienze lo spinge, assieme a Sandro Luporini, ad inventare il Teatro Canzone che ci ha dato spettacoli che hanno rappresentato per più di una generazione l’unica vera fonte di riflessione su comportamenti che già allora iniziavano a stridere con gli ideali professati. A mano a mano che procedeva il disincanto dello spirito originario del sessantotto, il linguaggio delle sue canzoni si faceva più tagliente ed amaro. In Polli d’allevamento canta la delusione di una generazione ed assume una posizione esistenziale solitaria e non più progressista: “Io per me se ci avessi la forza e l’arroganza / direi che sono diverso e quasi certamente solo / Direi che non riesco a sopportare le vecchie assurde istituzioni / e le vostre manie creative le vostre innovazioni.”

Fino all’album La mia generazione ha perso, realizzato quattordici anni dopo quello precedente come per chiudere un discorso: “La mia generazione ha visto / Migliaia di ragazzi pronti a tutto / Che stavano cercando / Magari con un po’ di presunzione / Di cambiare il mondo / Possiamo raccontarlo ai figli / Senza alcun rimorso / Ma la mia generazione ha perso.”

Mentre il film su Battiato ha saputo percorrere un itinerario che ne valorizza l’opera, con un tentativo di interpretazione che riteniamo ben riuscito, quello su Gaber è apparso poco rispettoso dell’autore, sempre interrotto da battute di questo o quell’altro personaggio, senza giungere a focalizzare il senso della sua parabola artistica, in quanto nessuno dei testimoni di quell’epoca è stato in grado di proporci l’esito di una sincera e onesta revisione, quello che Gaber, perlopiù inascoltato, ha sollecitato anche duramente con tutte le sue forze.

Come si fa a chiedere a Mario Capanna un giudizio su Gaber, lui che da quando era studente universitario continua a ripetere che la lotta sta continuando e il movimento marcia imperterrito verso la vittoria?

Meglio Bersani che ha centrato un’importante critica al sessantotto: “Il problema esistenziale non te lo risolve la politica”. Una chiave di verifica per una generazione – o perlomeno la sua componente intellettuale – che ha trasformato in politica ogni aspetto dell’esistenza, offrendo radici velenose alle successive infatuazioni per le teorie del complotto e le ideologie strampalate dell’ “uno vale uno” e della fine della democrazia.

Ma Gaber offrì tante luci preziose per indirizzare quel cammino: “Se ci fosse un uomo…/ Forte di una tendenza senza nome / se non quella di umana elevazione / forte come una vita che è in attesa / di una rinascita improvvisa.” Egli ha gridato con chiarezza quale risposta va data alla disillusione: “Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.” “L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme. Non è il conforto di un normale voler bene. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.” E specialmente ha indicato l’amore, l’amore per tutta la vita, come risposta all’inquietudine dell’io: “Com’eri bella, / com’eri bella, / avevo bisogno di te. / Eri la donna della mia vita, / ti ho chiesto di stare con me / perché ti amavo, perché ti amavo, / ma com’è bella la vita in due!”

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