A proposito di interclassismo, recentemente menzionato nell’articolo di commento alle esternazioni del Ministro Lollobrigida, riceviamo dall’amico Alessandro e pubblichiamo volentieri un suo articolo scritto in occasione dello scorso primo maggio.

Foto di Austrian National Library su Unsplash

di Alessandro M.

Il Primo Maggio, quest’anno più che mai, deve rappresentare un momento di svolta nella coscienza dei Lavoratori di qualunque categoria sociale e mostrare, in modo forte e chiaro, che questa ricorrenza non è, e/o non deve essere, una celebrazione di parte, della sinistra o dei soli operai. Il primo maggio deve essere l’occasione per ricordare e celebrare il lavoro, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione, come valore comune su cui si fonda il rispetto reciproco dei cittadini e la nostra stessa democrazia.

In questa visione, l’azienda deve diventare il “centro economico ed umano” dove Imprenditore e Lavoratore si incontrano “vincolati” l’uno all’altro da un legame di fedeltà reciproca,  non più in contrapposizione come antagonisti, ma come due diversi componenti del mondo produttivo “reciprocamente” necessari l’uno all’altro, così da creare una simbiosi che deve trovare la propria perfezione attraverso un confronto collaborativo e forme di partecipazione e/o di coinvolgimento attivo dei dipendenti. I fattori della produzione, di conseguenza, non perseguono più fini egoistici, ma solamente il bene comune dell’azienda. Gli interessi privati assumono quindi legittimità purché non entrino in conflitto con il superiore interesse della Comunità (art. 42 c. 2 Cost.).

Bisogna quindi tutelare ed incoraggiare con fatti concreti il Lavoro e l’Impresa perché contribuiscano allo sviluppo nazionale. In quest’ottica vanno quindi contrastati fenomeni quali le delocalizzazioni delle attività produttive  concepite come pura speculazione e che limitano le opportunità di lavoro sul proprio territorio. Devono finire i tempi nei quali i “grandi gruppi”, sostenuti dallo Stato con i soldi dei cittadini, privatizzano gli utili e socializzino le perdite in termini di cassa integrazione, licenziamenti e disperazione sociale. Il messaggio imperativo che deve investire tutti, senza distinzioni di sorta, è fare del Lavoro il soggetto dell’economia e la base irrinunciabile dello Stato, trasformandolo da “strumento del capitale” a “soggetto strumentalizzante” il capitale stesso, perché tra capitale e lavoro non deve esserci scontro.

Un altro fenomeno che – fortemente connesso alla globalizzazione e alla crescente sperequazione nella distribuzione mondiale della ricchezza – va risolutamente contrastato in quanto odiosa fonte di “conflitti tra poveri”, è quello del cosiddetto “dumping salariale”. In altre parole, si tratta dello sfruttamento dei salari da fame praticati in molti paesi extraeuropei (paesi dai quali poi importiamo le merci) e, a “casa nostra”, utilizzati da alcune imprese prevalentemente a danno della manodopera costituita da stranieri extracomunitari clandestini. I danni generati dal “dumping salariale”, purtroppo, non si limitano al fatto immediato dell’iniqua differenza che un lavoratore può riscontrare nella propria busta paga nei confronti di un altro lavoratore che svolge mansioni del tutto simili. Con il passare del tempo, oltre all’odio tra poveri, il dumping salariale pone sotto ricatto gli stessi “lavoratori regolari” indebolendone la forza contrattuale e aumentandone insicurezza e precarietà che, in molti casi, possono sfociare nella pura e semplice disperazione. Infatti, si può ben comprendere come, in una società dove le persone sono costantemente sottoposte ai martellanti messaggi di una pubblicità che promuove spesso consumi di dubbia utilità, la perdita del potere di acquisto delle famiglie più fragili, possa indurre la sensazione del fallimento personale e la conseguente perdita di fiducia in se stessi e nel futuro.  

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1 commento

  1. Grazie Alessandro per questo articolo che richiama alla mente l’idea di società olistica tradizionale contrapposta alla visione atomistica che, in forme più o meno mascherate, domina la società moderna. Il tuo contributo, però, per come la vedo io, merita un approfondimento ulteriore. Grossomodo nella prima parte tu fai riferimento a dei modelli ideali, mentre nella seconda esprimi un giudizio su alcuni aspetti della realtà a partire dal modello olistico-organico di società cui aderisci. Questo mi pare un punto importante del quale si deve essere consapevoli. Il conflitto di classe, infatti, può essere inteso come concetto filosofico posto alla base dello sviluppo storico salvifico, necessario e finale (es. il comunismo di Marx), oppure come un semplice dato di fatto. E’ in questa seconda accezione, per esempio, che il termine “lotta di classe” viene utilizzato da C Lasch nel suo saggio, divenuto oramai un classico della sociologia politica, “la ribellione delle élite: il tradimento della democrazia”. Poiché la democrazia presuppone, come dici bene tu, l’interclassismo, Lasch intravvede nel conflitto di classe non la basi “del sol dell’avvenire”, ma il declino della democrazia quale spirito più profondo dell’identità occidentale. Ora, per opporsi validamente a questo declino, occorre certo, come fai tu, riconoscere ciò che nella realtà contraddice l’idea di società organica, ma serve anche distinguere i sintomi dalle cause più profonde. Tra queste la più grande di tutte: l’abisso che, anche in occidente, da alcuni decenni si è aperto tra le élite e il popolo. Abisso che si manifesta nelle disuguaglianze e che trova la sua radice nel narcisismo isolazionista e nella deresponsabilizzazione sociale e ecologica delle nuove classi dirigenti.

    Al riguardo suggerisco l’ascolto integrale degli episodi 1 – 2 e 4 del video collegato al seguente link https://www.youtube.com/playlist?list=PLn6pDxX_De_oy0kGIRdSkh1XID62HqMI4

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