
Dario Nicoli
Gli intellettuali di destra e di sinistra sono concordi sul fatto che il nostro mondo è diventato un “cattivo luogo” dove vivere. Secondo loro, tutti noi avvertiamo un senso di straniamento derivante dal continuo sforzo di essere performanti per ottenere il riconoscimento degli altri, oltre al dubbio che la nostra libertà sia corrotta da desideri addomesticati.
Ma questo è un modo stereotipato di guardare la realtà usando lo schermo del declino della civiltà e dando preferenza ai problemi e annullando ciò che vale davvero. Attribuire etichette al nostro tempo ed allo stato d’animo diffuso, è una forma di violenza che non solo manca di rispetto per gli altri, ma che sottrae a chi compie questa azione la possibilità di accorgersi della grande vitalità degli avvenimenti che accadono.
Se guardiamo bene, scopriamo che il mondo reale è costituito da molteplici storie, veri scrigni che contengono segni di bellezza che fanno bene al cuore ed all’anima, e che ci dispongono in modo più sereno nei confronti del tempo attuale e futuro.
Molti di questi segni presenti nelle pieghe della nostra società, disegnano una sorta di mappa delle esperienze di comunità, sia quelle legate alle dinamiche di lunga durata sia di quelle che presentano caratteri inediti. Ne segnaliamo quattro.
Le nostre vicende personali, e quelle di cui veniamo a conoscenza, rivelano l’esistenza di un flusso di gesti di prossimità ed affezione che ci sorprendono in quanto vissuti nel contrasto con le dinamiche della chiusura nel proprio mondo individuale. Sono piccoli e grandi avvenimenti accomunati dall’impulso del “venirsi incontro”, dallo sforzo di lasciare l’ego per giocarci sul noi, aderendo alla verità che intuiamo presente nei rapporti con gli altri.
Da diversi anni, accanto alle varie forme di anonimato e di solitudine, è in atto nei territori un tentativo di ripresa del sentimento di appartenenza alla comunità. Sempre più cittadini si mettono a disposizione nelle iniziative concrete di risposta ai bisogni della popolazione, di cura del luogo in cui abitano e di animazione di momenti di divertimento e di festa, spesso riproponendo elementi della tradizione. Li muove un’urgenza che proviene dal cuore, l’offerta generosa di un di più che non si limita al solo aspetto materiale, ma che porta con sé anche un vento di nostalgia e di dedizione.
Ma a sorprendere maggiormente sono le esperienze di neocomunità negli ambienti di lavoro, un luogo che dovrebbe essere di esclusiva pertinenza di comportamenti interessati. Si stanno diffondendo gruppi di lavoro parzialmente autogestiti dove i colleghi vivono relazioni non solo funzionali, ma anche di aiuto e di solidarietà reciproca. Si moltiplica il volontariato di impresa tramite progetti di sostegno ad associazioni non profit oppure a favore delle comunità locali, dove i dipendenti dell’impresa prestano il loro servizio in parte in orari di lavoro retribuito (solitamente per l’equivalente di tre giornate anno) ed in parte nel proprio tempo libero. Si tratta di una nuova forma di convivenza tra l’economia civile e l’economia di mercato.
Ma vi sono anche vicende nuove di comunità nelle relazioni tra gli stati. L’Unione europea, molto criticata nel passato perché concentrata unicamente su obiettivi economici, sta sostenendo l’Ucraina aggredita dalla Russia per scopi di dominazione, similmente – come ha detto giustamente il nostro Presidente Sergio Mattarella – a quanto aveva fatto il Terzo Reich con le guerre di conquista a metà del secolo scorso. Difendere la comunità significa anche contrastare con la forza la violenza dell’aggressore, abbandonando il torpore mentale e morale che inevitabilmente ha accompagnato gli ottant’anni di pace che ci separano dalla fine della Seconda guerra mondiale.
La rinascita della comunità non è un’utopia e neppure un progetto di salvazione dell’umanità del tipo “è tutto da rifare”, come è accaduto nei grandi sistemi di palingenesi sociale elaborati nei secoli scorsi, ma è innanzitutto qualcosa che già esiste, che risiede nell’anima e nel tessuto della vita sociale, che si coglie con l’acutezza dello sguardo. Che ci parla di una pace e di una felicità raggiungibili, se solo sappiamo abbandonare l’ego dedicandoci ad un valore comune, affidandoci alle forze della vita e lasciandosi guidare dall’empito che ci coglie e ci trasforma in persone migliori.
La comunità è la forma che assume l’amore nelle molteplici relazioni umane, così come ce lo presenta San Paolo nel suo insuperabile Inno: «L’amore è paziente, è benigno l’amore; non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L’amore non avrà mai fine.»