di Bruno Perazzolo

Il film, premiato al festival di Cannes, nel titolo rivela tutta la sostanza del racconto. Il marito della scrittrice, Sandra Voyter, “cade” dalla finestra del solaio che sta ristrutturando nello chalet acquistato, di recente, in montagna, vicino a Grenoble. Inizia da questo momento una ricerca della verità che, sia pure per motivi diversi, coinvolge tutti i protagonisti: la polizia, il giudice, l’avvocato della difesa, la moglie di Samuel Maleski, la vittima, e, soprattutto, Daniel, il figlio ipovedente della coppia. Sin qui nulla di straordinario, un trauma porta sempre, in qualche modo, ad un riesame di ciò che, sino ad un attimo prima, si pensava fosse, dal nostro punto di vista, un’idea accettabile della realtà e del suo significato. Il piccolo Daniel, autentico protagonista centrale del dramma, nella sua personale anatomia di quanto accaduto, aiutato da un’assistente giudiziaria fuori dall’ordinario, compie, però, un salto logico portentoso. Un balzo che – arricchendo la pellicola di autentiche “perle filosofiche” riguardo alla limitata possibilità che gli esseri umani hanno di scoprire la verità sulle vite degli altri e, persino su se stessi – fa del film un’opera veramente notevole che – ottimamente interpretata e infarcita di dialoghi non banali e rappresentativi delle “caotiche contorsioni psicologiche” della famiglia contemporanea – merita certamente di essere vista.

Regia di Justine Triet con Sandra Hüller, Swann Arlaud, Milo Machado Graner, Antoine Reinartz, Samuel Theis, genere Drammatico, Francia 2023, durata 150 minuti. Il film appena uscito si può attualmente vedere solo nelle sale cinematografiche.

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