Milan Kundera è uno scrittore Ceco, classe 1929, tuttora vivente. Iscritto al partito comunista quand’era ancora studente, ne fu definitivamente espulso nel 1970 per il suo sostegno alla “Primavera di Praga”. Emigrato in Francia ha insegnato nelle università di Rennes e di Parigi. Poeta, scrittore di testi teatrali, racconti e romanzi, tra i quali va ricordato il grande successo dell’”Insostenibile leggerezza dell’essere”, è stato un punto di riferimento importante per la cultura europea in generale e, in particolare, per quella cecoslovacca negli ultimi decenni del ‘900.

Il libro è stato oggetto di due interessantissimi interventi, che consiglio vivamente: quello del politologo Jacques Rupnik e quello del giornalista, esperto di questioni russe, Ezio Mauro intervistati nella seconda parte (dal quarantanovesimo minuto del video) della puntata di RAI 3 “Mezz’ora in più”, condotta da Lucia Annunziata, il 15 maggio ’22.

“la ricerca della verità rende liberi”

ispirato al Vangelo secondo Giovanni 8:31 – 32

di Bruno Perazzolo

L’invasione russa all’Ucraina oramai prosegue da più di dieci mesi tra sofferenze e distruzioni indicibili. Sofferenze e distruzioni cui l’Occidente, a differenza delle precedenti aggressioni dell’allora Unione Sovietica (1953 Berlino est, 1956 Ungheria, 1968 Cecoslovacchia, 1981 Polonia), cogliendo di sorpresa l’esercito di Putin, ha saputo reagire fornendo un supporto militare e civile senza il quale l’Ucraina, malgrado il coraggio del suo popolo, avrebbe cessato da mesi di comparire nella carta politica del nostro continente.

Il libro, “Un Occidente prigioniero”, raccoglie in poche pagine un discorso del 1967 e un articolo del 1983 di Milan Kundera. Si tratta, dunque, di materiale prodotto diversi decenni prima dei fatti ucraini il cui interesse e la cui attualità risiedono proprio nella lontananza, cioè nel fatto di prescindere da quel vortice di dettagli, opinioni, informazioni, fake news ecc. che, accompagnando spesso i grandi eventi di cronaca, quasi sempre confondono oscurando la consapevolezza dei fattori fondamentali.     

Nei breve testo, innanzitutto, l’autore ci ricorda l’appartenenza storica dei paesi del Centro Europa alla tradizione greco–romana–cristiano-cattolica essenzialmente diversa dalla tradizione ortodosso bizantina. Stante questo legame, il dramma di queste nazioni è stato quello vedersi consegnate, appena “liberate” dal nazionalsocialismo alla fine della seconda guerra mondiale, ad un altro totalitarismo, quello sovietico, che, accentuando i tratti orientali della cultura russa, l’ha resa ancora più oppressiva dei popoli annessi al proprio impero. Kundera sintetizza così, come meglio non si potrebbe, l’opposizione tra la cultura russo-ortodossa-orientale e quella europea-occidentale: se la prima mira alla minore differenza nel massimo spazio, la seconda contempla la massima differenza nel minimo spazio. Viene soprattutto da qui, da un fattore culturale-identitario profondo, l’insofferenza per l’autonomia dei popoli e la fisiologica tendenza di quel che resta dell’ex impero sovietico alla conquista e all’omologazione. Propensioni, queste ultime, che l’ideologia totalitaria marxista ha notevolmente rinforzato. Al riguardo, Kundera – come fa, pressappoco negli stessi anni (1983), J. F. Revel nel suo saggio “Come finiscono le democrazie” – mentre rileva la solitudine nella quale, ancora negli anni ’80,  versavano i polacchi, i cechi, gli ungheresi ecc., denuncia la tragica e persistente incomprensione del fenomeno totalitario da parte dell’Occidente. Incomprensione che, a suo giudizio, deriva dall’economicismo imperante (un miscuglio di mercatismo, individualismo e consumismo) cui sembrano essere approdate le “democrazie di lunga data”, a partire dalla seconda metà del ‘900, relegando la “cultura” a mero fatto elitario e “sovrastrutturale”.

Se, dunque, ad occidente, lo spirito europeo sembra assopito, dov’è possibile riporre la speranza di un risveglio? Secondo Kundera proprio nell’Europa centrale. Qui, infatti, la cultura in generale e quella europea in particolare è stata minacciata di estinzione trovando, paradossalmente, la forza per sopravvivere malgrado l’onnipresente, oppressivo apparato di controllo poliziesco dello Stato Sovietico. Qui, le persone hanno sperimentato, nella maniera più cruda possibile, il disorientamento annichilente derivante dal rischio della perdita della propria identità, dalla mancanza di rispetto e di dignità trovando, nella rivolta al regime omologante e dispotico, il vigore necessario per ribadire il concetto europeo: quello DELL’AUTONOMIA DELLA CULTURA, soprattutto artistico – letteraria, dal potere politico e DELL’UNITÀ TRA INTELLETTUALI E POPOLO nella RICERCA DI QUELLA VERITÀ CHE È FONDAMENTO DELL’IDENTITÀ delle PICCOLE NAZIONI EUROPEE, aperte alla GRANDE FEDERAZIONE: la SEDE NATURALE DELLO SPIRITO DELL’EUROPA e del confronto di quest’ultima con le altre culture mondiali.   

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