«Esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una ‘debole’ forza messianica, a cui il passato ha diritto». (Walter Benjamin)
Il lavoro è la forma operosa che assume l’amore per la comunità quando si alimenta della speranza nel futuro.
È un’operazione collettiva, ed insieme personale, nella quale si realizza il cammino di scoperta e perfezionamento dell’umano, perché impegna molto tempo del soggetto, ma soprattutto perché vi sono concentrate più forze umane: bisogno, relazioni, tecnica, potere, sensibilità, solidarietà, creatività, talenti, vocazione.
Le nuove tecnologie convivono con mondi a razionalità affettiva, sociale, tradizionale, pratica, intuitiva, orientata ai valori; esse, mentre incorporano processi routinari, creano continuamente problemi e necessità di intervento umano, soprattutto là dove emergono schemi inusuali e si pongono dilemmi di natura etica, che non si possono risolvere con algoritmi.
Gli ambiti in cui si sviluppa la nuova espansione del lavoro sono quelli connessi ai «fattori sensibili» del lavoro. Si tratta di quelle capacità definite anche con l’espressione “intelligenza fluida”, che consentono di affrontare logicamente problemi in situazioni nuove, impreviste, indipendentemente dalle conoscenze acquisite. Sono indispensabili sia di fronte a problemi complessi, sia in tutte quelle situazioni in cui occorre identificare gli schemi e le relazioni sottostanti ad una situazione problematica per trovare una soluzione tramite il ragionamento logico.
Il lavoro non è solo occupazione; giustamente, la lingua tedesca utilizza due parole per esprimerlo: Beruf significa vocazione, una chiamata interiore che indica la strada della realizzazione di sé nel lavoro ed anche il «fuoco» che ne sostiene la passione, mentre Arbeit significa professionalità, ovvero l’insieme delle condizioni tecniche, giuridiche e organizzative che consentono l’esercizio del lavoro.
La passione che deriva dalla scoperta della vocazione personale rende felice colui che lavora: anche le difficoltà sono sfide e occasioni di perfezionamento professionale. Senza la vocazione-passione il lavoro è fonte di tedio ed amarezza ed ogni difficoltà diventa una montagna insormontabile.
Non collaborare al cantiere della provocazione, dello stordimento, del dissennamento e della schiavitù dolce.
Il lavoro buono:
- procura un beneficio reale alle persone (le rende maggiormente capaci di libertà positiva), alla comunità (favorisce i legami, la solidarietà, l’impegno comune) ed all’equilibrio ecologico (persegue la sostenibilità e la cura del territorio);
- è fatto a regola d’arte, secondo le migliori regole della qualità;
- è sicuro (rispetto della vita);
- porta con sé il segno (estetico), l’impronta riconoscibile dell’autore;
- è affidabile, ovvero fondato su una relazione duratura dove il cliente è posto al centro dell’attenzione di chi opera.
Tramite il lavoro buono, accade l’umano e si genera vita.
Nell’ingaggio si scopre e ci si rivela. Il lavoro è un’operazione che avviene fuori e dentro di noi.
I tre significati esistenziali del lavoro:
- scoprire il proprio io autentico (non tratto dall’introspezione, ma dall’apertura e dal confronto attivo)
- entrare in una relazione donativa: cosa posso fare io per gli altri?
- lasciare la propria impronta nel mondo.
Per favorire la scelta orientativa nei giovani non basta l’introspezione e l’attenzione alle proprie preferenze, occorre il giudizio degli altri a seguito di un servizio reale. Non siamo innocenti, ma perfettibili e capaci di saggezza.
Per capire i doni che abbiamo ricevuto e cercare il nostro compito nel modo occorre il “tocco”, quella speciale esperienza che rivela la segreta corrispondenza tra il nostro io e una delle grandi e stabili culture del lavoro. Tale esperienza è resa possibile da un incontro, una guida, un momento speciale.
Necessità di lottare contro i demoni, specie quelli interiori: i distrattori, i separatori ed i debilitatori.
La civiltà è un corpo vivente, con un carattere fondamentalmente generativo: mettendo i giovani in stand by, la civiltà di fatto smette di vivere. Inserire i giovani al lavoro al contrario significa permettere loro di aggiungere la loro novità alla nostra società. “Lavoro” infatti non è solo produrre beni e servizi, ma procedere nel cammino della civiltà, il portare avanti la sua promessa/missione, la forma peculiare che assume l’amore per la vita.
«Noi siamo impegnati in un’azione immensa e di cui non vediamo il termine, e forse non ha termine! Quest’azione ci riserverà tutte le sorprese; tutto è grande, inesauribile; il mondo è vasto; e più ancora il mondo del tempo; la madre natura è infinitamente feconda; il mondo ha molte risorse, più di noi; […] non dobbiamo fare altro che lavorare modestamente; bisogna osservare bene, bisogna agire bene e non credere che si ingannerà, né si fermerà il grande avvenimento». (Péguy 2015, Zangwill)
Le caratteristiche espresse sul lavoro “buono” mi fanno riflettere sulla “mission” di docente che, nell'”ideale”, dovrebbe essere ” realmente ” come descritto nell’articolo.
Tuttavia, questa tensione tra reale e ideale presenta un abisso dettato da un epoca in cui la professione insegnante è subordinata alle leggi di mercato e sottoposta alla pubblica gogna. Forse sono esagerata?
Consideriamo quello che succede in questo periodo Covid alla classe docente, costretta a recarsi a scuola per svolgere la DAD in classi fisicamente vuote, dal momento che gli studenti seguono da casa, con il rischio di contagiarsi entrando in contatto con altri e prendendo i mezzi pubblici. I docenti godono forse di meno diritti degli altri lavoratori ? Devono essere sempre controllati perché il loro lavoro non può ridursi a mero dato oggettivo e quindi non quantificabile?