di Dario Nicoli

Johannes Vermeer, Public domain, via Wikimedia Commons

«Finché quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento,
giorno dopo giorno versa il latte 
dalla brocca nella scodella,
il mondo non merita
la fine del mondo»

Wisława Szymborska

Che cosa succede quando un popolo intero pensa male? Quando siamo tutti assorbiti dal clima di critica e di rabbia che si respira in giro? Succede che questo popolo è sintonizzato su ciò che non va, che vive come se all’improvviso dovesse capitare un disastro. Ciò alimenta uno stato d’animo di sospetto e di amarezza, rende inerti le forze positive provocando un atteggiamento di difesa piuttosto che di impegno per il miglioramento delle cose. Fate una prova: sostenere qualcosa di positivo sui social, per esempio che la povertà estrema nel mondo è in continuo calo dal 1820 agli anni più recenti[1]: verrete subito attaccati da una torma di militanti del “pensar male”. 

È una questione di salute psichica che trae origine da un clima culturale intriso di pessimismo, ma è anche una questione politica, in quanto un popolo che pensa male è un popolo infelice, chiuso in se stesso, sfiduciato, depresso e rabbioso. È possibile una società in cui poter vivere felici, non come quando tutte le cose ci vanno bene, ma dove sentiamo di vivere in comune, in cui si è accettati e ricevuti, ottenendo quella protezione – specialmente la speranza e la fiducia nel futuro – che ci permette di assumere i compiti concreti a cui siamo chiamati? 

La posizione del disincanto è inumana perché non soddisfa le esigenze profonde dell’anima, quelle che fanno dire al filosofo ambientalista Derrick Jensen che «noi abbiamo un bisogno di incanto che è profondo e sacro quanto il nostro bisogno di cibo e di acqua» ed al poeta Pablo Neruda che «Ognuno ha una favola dentro che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti».

Solo una consapevole esperienza di incanto restituisce serenità e amore per la vita e mette in moto le forze buone dei singoli e della società.

È il momento di fornire il nostro contributo nel contrasto allo smarrimento esistenziale provocato dalla sfiducia che ha inaridito le fonti della gioia per la vita. Per questo proponiamo una sezione dedicata alle “storie d’incanto” per combattere il pensar male, a nostro parere la più grave malattia che imperversa nel nostro tempo. 

Sono storie che ci aiutano a cogliere le perle sparse nel mondo. Racconti che, partendo da una pratica di vita concreta in cui sentiamo di esistere davvero, suscitano un’apertura verso in tutto e ci donano un senso di giubilo per il cosmo e per la vita. 

Le storie d’incanto manifestano la profondità nascosta di ciò che ci parla: il cielo e la terra, ciò che è sempre presente come mistero delle cose e della vita.

L’esistenza umana può sussistere solo grazie a un sapere nascosto, un bene sempre misterioso nella sua presenza indispensabile, pur accompagnato da un’ombra altrettanto misteriosamente ambigua. 

Le storie d’incanto ci aiutano a capire meglio il nostro compito: Pensarbene significa porre il pensiero in sintonia con l’intuizione originaria della vita. Di una vita vissuta come esistenza in totalità caratterizzata dal radicamento, l’avvicinamento, il rinnovo dei legami di protezione. 

Ognuno di noi ha delle “piccole-grandi storie” di incanto da raccontare:
ti invitiamo, contattandoci, a scriverle su PensarBene così come le hai vissute!


[1] Vedi il grafico del sito web ourworldindata.org (ricercatori dell’Università di Oxford): https://ourworldindata.org/grapher/share-of-population-in-extreme-poverty?tab=chart&country=~OWID_WRL

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1 commento

  1. Ottima idea. Spero sia un modo per combattere il cinismo, alimentato da una popolazione sempre più vecchia e frustrata dalla mancata realizzazione dei propri sogni individuali ma soprattutto collettivi, ridando dignità all’essere invece che all’ avere, al gioire invece che al fare.

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