Donata Gradinati

L’articolo “per una scuola viva” di Dario Nicoli, mi riporta indietro nel tempo, ai ricordi della scuola elementare “G.Mazzini” di Varese (1964/1967).

Mi corre un brivido lunga la schiena quando penso alla maestra di prima, seconda e terza elementare. Colei che divenne la mia maestra, di nome Anita, non molto alta, magrissima, paragonabile a Crudelia De Mon, per il suo aspetto fisico, era da tempo cliente abituale del ristorante di proprietà dei miei genitori. Già mi sgridava ancor prima di averla come insegnante, quando mi divertivo a “rompere le scatole” agli affezionati clienti fissi che mi adoravano e sorridevano nel sentire l’insistente e assordante ticchettio dei miei zoccoletti di legno, risuonare e preannunciare il mio arrivo nella grande sala del ristorante ” Del Ghiaccio” di cui ero la mascotte. Lei acido essere umano, mi prendeva per un braccio, mi tirava in disparte e cominciava a farmi la predica. Rivedo il movimento veloce delle sue piccole labbra, rigorosamente ricoperte da un importante strato di rossetto rosso. Tutti sorridevano al mio arrivo e mi invitavano a far ancora più rumore con i miei zoccoletti di legno, solo lei, scura in volto, mi scrutava in modo severo.

Il suono della campanella annunciò l’inizio della scuola. Mi sorrideva l’idea di avere la maestra Anita come insegnante, mi sentivo sicura, perchè a differenza dei miei compagni, già la conoscevo.

Credo, per la verità, di aver rimosso parte dei ricordi scolastici di quel periodo. Posso certamente dire di non aver avuto, come spesso di si diceva di una maestra, una seconda mamma. No, no, la maestra Anita era molto severa; non ho memoria nè di un sorriso nè di un atteggiamento dolce. Lei puniva! Ci invitava, puntandoci il dito contro, ad alzarci e andare dietro alla lavagna. Metterci dietro alla lavagna era una delle sue pratiche quotidiane preferite,  oltre che assegnarci compiti di castigo. “Ricopiate dieci volte…” questo in prima elementare, poi in seconda e terza,  ci assegnava riassunti di brani o pensieri su argomenti trattati in classe e lì trascorrevi pomeriggi interi sui libri. Eri oggetto di punizione per non aver saputo bene una poesia a cui lei  teneva particolarmente, oppure  perchè avevi tentato, dico solo tentato, di lanciare un sguardo sul quaderno della compagna di banco, o perchè “ti beccava” a chiacchierare. Molto difficilmente chiedevamo  il permesso di andare in bagno fuori dall’orario di ricreazione. La risposta era negativa se lo chiedevi prima dell’orario, perchè di lì a poco ci saresti andata e altrettanto negativa dopo l’orario,  perchè c’eri appena stata.

Ottenevi sgarbatamente il permesso solo se avevi il coraggio di richiederlo. La maestra Anita indossava un grembiule nero, scarpette un po’ a punta nere, con tacco sottile.  Non era mai seduta alla scrivania e quando lo era, si alzava di scatto e scendendo dal basamento di legno, ove la scrivania era posizionata, faceva un rumore deciso con i tacchetti delle scarpe e venendo verso di noi, iniziava a girare tra i banchi e scrutava, scrutava quello che stavamo facendo. Il cuore mi batteva forte quando si avvicinava al banco per vedere ciò che stavo scrivendo sotto dettatura. Guai se il foglio si sporcava, a causa di una goccia di inchiostro che poteva accidentalmente cadere. Ci avvertiva di un errore picchiettando sul banco con la bacchetta di legno che spesso teneva in mano, fedele strumento del suo lavoro, così come l’inseparabile penna Bic rossa. Ricordo l’anello con pietra “acqua marina” che portava al dito della sua magrissima e curatissima mano. Risento il suo profumo che definirei pulito, essenziale, deciso, secco come la sua figura.

Assegnava spesso come compito, temi da svolgere a casa che poi venivano letti e corretti in classe, il giorno successivo. Il suo commento preferito? “Non è farina del tuo sacco” cosi scriveva sul foglio del tema con la sua inseparabile Bic rossa e con la stessa Bic rossa sottolineava o cerchiava gli errori e per ogni errore ” si apriva un dibattito” su come e perchè era tale. La correzione dei compiti offriva l’opportunità di ripassare le regole grammaticali, la coniugazione dei verbi e di arricchire il nostro linguaggio cercando sinonimi e contrari di parole da poco conosciute. La sua attenzione nei nostri confronti era particolare al punto che periodicamente ci controllava il contenuto delle cartelle.

A caso ci chiamava (chissà come mai io non ero un caso, il mio era un appuntamento ad ogni controllo) e in piedi, vicino alla cattedra, dovevamo vuotare la cartella e mettere il contenuto sulla scrivania. Tutto ciò che era estraneo alla didattica scolastica  era motivo di critica, oggetto di predica e di conseguente castigo. A volte, presa dallo sconforto, mi sentivo nel mirino, ero tentata di andare dal direttore a raccontare tutto quello che sentivo ingiusto, ma quella porta bianca, chiusa, con vistosa e lucida targhetta “Direzione” era troppo grande e invalicabile per una bimba cosi piccola.

L’abitazione della maestra Anita era poco distante dal ristorante. Ci passavo davanti tutti i giorni per recarmi a scuola. Di fronte alla scuola c’era e c’e stato per parecchi anni, per la felicità dei bambini, il “Dulciora” negozio di dolciumi per eccellenza. Come entravi, venivi inondata da intensi profumi di liquirizia, di fresca menta, di frutti misti e di irresistibile profumo di cioccolato. I  dolcetti erano contenuti in un mobile di legno, basso, posto al centro del negozio, suddiviso in scomparti chiusi da coperchio trasparenti, affinchè se ne vedesse il contenuto. La commessa veniva incontro con un sacchettino di carta bianco e una pinza per dolci, insieme girando intorno al mobile, riempivamo il sacchetto di dolcetti, sapientemente scelti. Poche lire, per soddisfare la nostra grande golosità!  

Un pomeriggio l’incanto di questo tenero e dolce momento venne bruscamente interrotto dall’incontro casuale con la maestra Anita che, curiosa di sapere cosa conteneva il sacchetto, tentò di fermarmi. “Sono cotoni per la mamma” dissi “mi scusi, sono di corsa, non posso fermarmi”. Scampato pericolo! E il cuore mi batteva forte.

“Ordine e disciplina” questo era il suo motto.                       

E’ così che la maestra Anita ha contribuito  alla formazione di tanti scolari, con la sua severità, con il suo modo autoritario di porsi, con il suo modo coinvolgente di fare lezione, con la sua intransigenza, tutti ingredienti base per una educazione fin troppo stimolante, ma efficace, per la nostra crescita.

1 commento

  1. Author

    Un racconto autobiografico che coglie un aspetto fondamentale dell’educare. Grazie Donata

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