Abbiamo sentito e letto di tutto sulle difficoltà e soprattutto sugli svantaggi della DaD rispetto al valore indiscutibile della didattica in presenza. Come negare infatti il potere performante a tutti i livelli (educativo, sociale, comportamentale, ecc.) consentito dalla relazione interpersonale? L’abbiamo capito soprattutto in questi mesi. Come per altri aspetti del nostro inquieto vivere, ci rendiamo conto dell’importanza delle cose che abbiamo quando le perdiamo. Così anche la DaD ci ha fatto capire quanto sia fondamentale per un insegnante guardare negli occhi dei ragazzi, per gli allievi incontrare i compagni tenendo la cultura a portata di mano, per i genitori affidare i loro figli a mani esperte, per la società consegnare le future generazioni ad ambienti dove si vive la cittadinanza attiva.

Ciononostante, meno male che la DaD c’è. Stiamo affrontando la più grande pandemia della storia, e la scuola, come avrebbe affrontato un’emergenza di tali dimensioni, se non avesse potuto contare su uno strumento in grado di raggiungere le persone nelle loro case, impensabile fino a pochi anni fa? Seppur tra mille difficoltà (di tipo tecnologico, ambientale, professionali, ecc.) la DaD ha permesso indubbiamente:

  • di portare avanti e chiudere l’anno scolastico che ci siamo lasciati alle spalle e di mantenere vivo il rapporto con allievi e genitori;
  • di capire l’importanza di imparare a cavarsela da soli, di organizzarsi, responsabilizzarsi, gestire lo stress, ecc, ovvero di tutte quelle competenze cosiddette trasversali, tanto invocate dalla normativa nazionale, quanto disattese;
  • di favorire l’apprendimento degli alunni che padroneggiano il digitale e inceppano davanti al testo su carta, aumentando la loro autostima;
  • di ridurre lo stress agli alunni che si sentono a disagio in mezzo agli altri, anche perché spesso derisi o bullizzati;
  • di incoraggiare gli alunni che hanno bisogno di più tempo per rispondere o svolgere un compito, aumentando il loro rendimento;
  • agli alunni di ogni età di rendersi conto che i diversi congegni digitali possono essere usati anche per imparare, e non solo per giocare o far circolare il chiacchiericcio più becero e gratuito;
  • agli insegnanti di imparare a gestire la provvisorietà, appropriandosi di strumenti prima utilizzati saltuariamente, contando sulla loro disponibilità e creatività, consapevoli di portare avanti un servizio pubblico fondamentale.

Certo, la DaD va ripensata, anche alla luce delle esperienze rivelatesi positive. Le sfide da affrontare sono molteplici (ore di esposizione, essenzialità dei curricoli, modalità di insegnamento e partecipazione, di valutazione, ecc.), ma non possiamo permetterci di accantonarla, come qualcosa da dimenticare in fretta, tornando tranquillamente alla Didattica in presenza..

Dovremo attrezzarci per coltivare la Didattica Digitale anche in aula, non solo perché, se usata con saggezza e padronanza, rappresenta una metodologia stimolante e feconda, ma anche perché si ridurrebbe di molto il divario tra la Didattica in presenza e la DaD, qualora in futuro dovessimo affidarci di nuovo a quest’ultima.

1 commento

  1. In questi mesi non sono entrata nel dibattito, ho però letto molto.
    Quello che mi sembra evidente è la volontà di ripristinare il più possibile quello che era prima del Coronavirus, quasi che manchi la consapevolezza che niente (solo per il momento, si spera, ma chissà…) potrà essere più come prima.
    E’ mancato il coraggio nell’affrontare una sfida inedita, che va combattuta prevenendo l’emergenza e non aspettando di vedere come andrà (e non ci vuole molto per capire che NON andrà bene).
    CI voleva coraggio, certo, nel rimodulare il tempo scuola, nel ridurre il numero di alunni per classe in modo strutturale, nel cambiare le modalità organizzative, nel chiedere ai docenti di seguire un percorso di formazione approfondito su quali principi e metodologie si basa la progettazione e la realizzazione di attività in modalità a distanza, in modalità sincrona e asincrona, fatta da persone serie e preparate.
    Bisogna cambiare ancora, di nuovo, per vincere questa guerra che senza bombe ci divide, ci isola, ci separa. Perché quando ne usciremo e ci ritroveremo fuori da questo periodo, niente sarà più come prima, e come saremo diventati dipende da noi.
    Siamo noi che possiamo stare ad aspettare a vedere quello che succede e subirne le conseguenze, oppure possiamo provare ad immaginare un mondo nuovo a cui abbiamo dato un contributo, un mondo che sentiremo nostro e che quindi ci apparterrà.
    Infine, ma questo andrebbe messo prima di tutto, e non solo in quest’anno così particolare, vorrei per gli adulti, tutti indistintamente, una bella iniezione di FIDUCIA nei confronti dei ragazzi: è solo vedendoli con queste lenti che potremo vedere in loro l’entusiasmo di chi affronta la vita, la paura di chi teme di non farcela, la timidezza di chi si affaccia a nuove esperienze, il coraggio di affrontare nuove sfide, la bellezza di fare nuove scoperte che possiamo metterci accanto a loro (e per stare accanto non è detto che sia necessaria la vicinanza fisica, perché a volte la presenza inibisce il fluire delle parole mentre il digitale media e facilita le relazioni) e aiutarli a trovare il loro posto nel mondo.

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