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Valerio Corradi (Docente di Sociologia del territorio, Università Cattolica di Brescia)
La globalizzazione che abbiamo conosciuto tra la fine del Novecento e l’inizio del XXI secolo, superficialmente fatta coincidere con processi come la modernizzazione, l’occidentalizzazione, l’estensione planetaria dell’economia di mercato, è entrata in una nuova fase che al momento è difficile da decifrare ma che ha ricadute importanti sul rapporto tra locale e globale.
Uno dei segnali più evidenti di questa transizione è il ritorno in gioco dei territori dopo che essi sembravano essere irrimediabilmente in crisi sotto l’influenza dei flussi e delle dinamiche planetarie. Oggi non solo i territori recuperano centralità, ma si risvegliano identità di luogo e vengono riscoperte specificità e saperi locali che sembravano ormai quasi dimenticati.
Un altro aspetto apparentemente paradossale della nuova globalizzazione è l’attenzione allo spazio dei luoghi ovvero ai contesti concreti di vita dove c’è vicinanza fisica, identità, storia, come possono essere una porzione di territorio, un quartiere, un borgo, una frazione, una località.
La riscoperta del “senso del luogo” è sia una forma di difesa identitaria sia un tentativo di ritrovare le radici che si sono smarrite nel mondo globalizzato. Nonostante i flussi di persone, merci, informazioni e le vaste reti che rendono sempre più connessi, emerge un bisogno di ritornare al “senso del luogo” ovvero a quella sensazione esperienziale, emotiva ed estetica che solo un luogo fisico particolare sa suscitare e che tuttavia non è la stessa per tutti.
Sui territori sono numerosi sia i segni lasciati dalla nuova globalizzazione sia quelli generati dal recupero della dimensione territoriale.
Ad esempio, vanno nella prima direzione il settore produttivo con la crescita degli investimenti da e per l’estero, il campo sociale dove si registra un’evoluzione in senso multiculturale della popolazione, l’ambito della formazione e della ricerca con la presenza di istituti e atenei sempre internazionalizzati, le infrastrutture di mobilità e le reti tecnologiche che aumentano il livello di connessione sovralocale. Senza dimenticare il crescente peso di fenomeni che attivano scambi tra locale e globale come il turismo e gli eventi culturali.
Vanno invece nella seconda direzione, ovvero verso il riconoscimento del nuovo fascino esercitato dal locale, i molti giovani che nonostante le molte difficoltà decidono di rimanere (la “restanza”) o di ritornare. Il ritorno al locale è un processo osservabile anche nel ri-radicamento di alcune attività economiche e culturali (si pensi alla valorizzazione di siti e presidi da valore storico e artistico), tanto che il territorio ridiventa un fattore chiave del fare impresa oggi.
Come scriveva alcuni anni fa l’economista Giacomo Becattini, forse come reazione al gigantismo e allo spaesamento generato da una certa globalizzazione, si assiste alla riscoperta di attività e di lavori più a misura d’uomo e di ambiente, che riconoscono a tal punto il fascino del locale da farlo diventare uno dei fattori di attrattività. Esempi di questa tendenza sono le produzioni agricole, enogastronomiche e neo-artigianali che coniugano tradizione e innovazione e che considerano un valore aggiunto la cultura e le pratiche locali.
In una società mobile e accelerata vi è un lento risveglio della disponibilità a risiedere nei piccoli centri o a ridosso delle aree urbane, non solo per le possibilità offerte dallo smart working e dalla maggiore presenza (rispetto al passato) di servizi e d’infrastrutture di collegamento, ma anche per la crescente esigenza di molte persone di (ri)trovare una “stabilitas loci” (espressione cara alla tradizione monastica benedettina) ovvero delle oasi di protezione dall’incertezza e di stabilità rispetto a un vagare agitato e disordinato. Una ricerca di sicurezza, “solidità” e sostenibilità che non punta solo alla comodità e all’efficienza tecnologica, ma su un nuovo modo di vivere che rimette al centro i legami positivi e duraturi con un luogo, con una comunità e con l’ambiente naturale.
In definitiva, in una società mobile ma disorientata molti cercano di aggrapparsi ai punti fermi rappresentati dalle persone più vicine, dalla casa, dai luoghi più familiari e da quelli che vengo scelti per un nuovo radicamento. Questa rinnovata centralità dei territori e dei luoghi porta con sé la sfida di trovare nuove forme di protezione e di valorizzazione dei contesti locali, ben sapendo che la tentazione di assecondare forme di chiusura autoreferenziale, alla lunga, anziché rafforzare i territori li indebolisce irreparabilmente.
Questo articolo di Valerio Corradi, che ringrazio caldamente, rappresenta un contributo molto importante per il lavoro della nostra associazione. Da un lato ne conferma la validità, dall’altro offre indicazioni per le prosecuzione del nostro cammino. Seguendo la traccia dell’articolo, mi vien da pensare che sarebbe interessante verificare la correlazione tra questa rinnovata voglia di comunità, ovvero di legami, che emerge dal testo di Valerio, con l’ideologia, la nuova filosofia morale e il ceto sociale che maggiormente la rappresenta. In breve, le ipotesi che abbiamo formulato come sintesi del percorso di Pensarbene svolto sin qui. A tratti, infatti, ho la sensazione di tornare all’origine del cristianesimo quando, accanto e in opposizione all’élite imperiale pragmatica e razionale, si sviluppo una sapienza popolare incentrata sulla fede che seppe travolgere un gigante che sembrava invincibile salvando, rinnovandolo, lo spirito dell’occidente dal declino e dalla corruzione di Roma. Attualmente, ho l’impressione che questa energia, che viene dal basso, sia strumentalizzata dal populismo e dal sovranismo, ovvero, in analogia con la crisi finanziaria del 2007 – ’08, dalle stesse élite oligarchiche che stanno corrompendo la democrazia dal suo fondamento: la diffusione (opposta alla concentrazione / centralizzazione) del potere politico, economico e culturale.
Credo che ritornare alle proprie origini, ai propri territori sia un’ esigenza. Il richiamo alla propria identità è di per sé speranza e punto di forza per la realizzazione di nuovi progetti locali che inevitabilmente ridarebbero vita al “senso del luogo”.