di Dario Nicoli

Dopo pochi anni dal suo avvento, anche la stagione del populismo sta volgendo al termine mentre si sta aprendo un nuovo scenario centrato sull’iniziativa unitaria e globale delle nazioni democratiche.

L’appannamento della figura di Donald Trump, vero campione dei populisti, è iniziato con la sconfitta alle elezioni del 2020, si è decisamente aggravato con l’ambigua posizione nella tragica vicenda dell’assalto al Campidoglio, ma anche con la sconfitta del suo tentativo di non rendere pubbliche le carte della sua sconcertante posizione fiscale; vi è stata infine la non vittoria alle elezioni di midterm del 2022. Tutti eventi che hanno rappresentato altrettante occasioni perdute per far rilucere la propria stella, e si sa che la forza che alimenta il sentimento populista viene meno con la perdita del “tocco fatale” del proprio leader. Così si spiega l’imbarazzante distanza – ben 23 punti – che i sondaggi gli attribuiscono rispetto alla stella nascente repubblicana del governatore della Florida, Ron De Santis, un politico molto più attento a mostrarsi affidabile, desideroso di riconquistare il ceto moderato con istruzione medio alta, spaventato dall’incompetenza e dall’irresponsabilità trumpiana.

E che dire del suo epigono Jair Bolsonaro? Uno che non ha capito a tal punto l’insegnamento proveniente dagli avvenimenti degli USA da replicare, questa volta in tono farsesco, l’assalto alle istituzioni. Anche lui ha perso l’aura che lo avvolgeva in precedenza in quanto non ha saputo assumere i panni dello sconfitto onorevole, abbassandosi al livello di meschine tattiche di sopravvivenza individuale. Ma la radice della caduta dei due principali esponenti della stagione populista si trova nella loro totale incapacità di comprendere le tremende sfide di questi ultimi anni: la crisi economica, la pandemia, la crisi ecologica, la guerra, rivelando in tal modo la pochezza del proprio pensiero. Questo consiste in una iper semplificazione del mondo costruita intorno ad un delirio di teorie riferibili in gran parte al movimento di estrema destra QAnon secondo cui tutto ciò che accade – compresa la “pandemia inventata” – deriverebbe dalla cospirazione di un’organizzazione segreta globalizzata mossa da desiderio di porre l’intera umanità sotto la cappa di un controllo dolce chiamato “Nuovo Ordine Mondiale”.

Il caso della Brexit è molto diverso, e più serio, in quanto mette in gioco il profondo sentimento di indipendenza radicato nel popolo anglosassone che deriva dall’epoca dell’impero, quando l’Inghilterra dominava una parte consistente del mondo e che oggi sopravvive solo nella forma del New Commonwealth. E’ vero che la burocrazia europea ha raggiunto vette mai viste di formalismo insensato, ma ciò non basta a spiegare il desiderio di togliersi dall’Unione europea ed affrontare un percorso molto complesso, lungo ed oneroso visto anche il saldo economico molto vantaggioso di cui questa nazione ha potuto da sempre godere. Il disegno dei sostenitori dell’uscita prevedeva infatti di costruire intorno al Regno Unito un’area commerciale di libero mercato di stampo iperliberista, ma è venuto meno il principale partner di questa strategia: gli USA, infatti, hanno preferito proteggere i propri interessi adottando una politica decisamente protezionista fatta di dazi crescenti, di sgravi fiscali e ingenti contributi statati nei settori chiave. Quindi la versione “strategica” del populismo sta fallendo – ed i sondaggi lo confermano in modo sempre più chiaro –, mentre permangono gli effetti negativi nei settori su cui gli inglesi dipendono dall’estero, sia quelli relativi ai beni, come l’ortofrutticolo e l’agroalimentare, sia nel delicato ambito delle risorse umane, una parte consistente delle quali proviene da sempre dal continente. 

Ma cosa sostituisce il populismo declinante? Una versione etica del sovranismo, ovvero l’alleanza di stati democratici avente come collante la costruzione di un fronte mondiale opposto al patto tra potenze autarchiche, quelle che hanno creduto di poter diventare egemoni di un’Occidente che si riteneva diviso e senza coraggio, e che hanno invece provocato con l’invasione russa in Ucraina e gli altri fronti aperti nel mondo – una inedita reazione corale. Il sovranismo dei nuovi governi sia di sinistra (USA, Brasile, Germania, Francia…) sia di destra (Italia, Svezia, Polonia…) può essere definito “moderato” o realistico in quanto è fondato sul primato degli interessi nazionali, non contro ma nelle alleanze necessarie per evitare l’isolamento e sostenere una forte area economica. La novità sta nel carattere etico di quest’alleanza, in quanto per la prima volta si fonda non in primo luogo sugli interessi ma sui diritti umani e sul valore della libertà. È in atto un rivolgimento totale della geopolitica, di cui abbiamo visto solo alcuni effetti, mentre altri si manifesteranno con il cessate il fuoco ed il ritiro delle truppe russe e mercenarie dal suolo ucraino.

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3 commenti

  1. Author

    Concordo con Dario soprattutto sul punto della reazione dell’Occidente alle sfide dei sistemi totalitari emerse chiaramente con la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina. Queste catastrofi sembrano aver reso le democrazie consapevoli dei rischi insiti in un certo modo di concepire la globalizzazione e il multilateralismo cooperativo. Resto però convinto della necessità di profonde riforme interne ai paesi di tradizione liberale – popolare e socialdemocratica per, “togliere definitivamente la terra sotto i piedi”, ai populisti e, finalmente, anche per rendere i cittadini maggiormente legati alla polis.

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  2. Un’analisi puntuale, interessante e condivisibile . Concordo sulle con-cause che porterebbero portare alla fine del populismo (spero che Dario abbia ragione sulla sua fine) : il non saper leggere i grandi e inediti cambiamenti a cui il mondo sta andando incontro, l’idea di potercela fare da soli o meglio degli altri, le mire espansionistiche e via così … Spero che la direzione comunitaria diventi un bisogno diffuso e convinca i governanti che non c’é alternativa.

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  3. L’esito ovviamente non è scontato, ma è sorprendente la riaggregazione etica e politica del fronte democratico che fa ben sperare nella possibilità di un risveglio dei suoi valori fondanti. La “direzione comunitaria” è la strada sia per l’alleanza mondiale del “mondo libero” sia per il nuovo municipalismo, le due facce del rinnovamento della democrazia.

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