di Dario Nicoli

Diversi segnali contraddittori emergono dal mondo delle tecnologie. Mentre sta montando il fenomeno delle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale (AI) come ChatGPT basato sulla possibilità di conversare con un utente umano, continua la grande crisi che si sta abbattendo sulle aziende tech e social media, il settore che era sopravvissuto all’ultima crisi economica e che sembrava in continua espansione. Twitter ha licenziato quasi la metà dei dipendenti, il titolo Meta (che comprende Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger) ha perso quest’anno metà del suo valore, tanto da confermare la tesi di molti osservatori secondo cui la strategia del metaverso altro non era se non il tentativo di “buttarsi in avanti per non cadere indietro”. TikTok ha iniziato a licenziare i dipendenti delle succursali statunitensi e si appresta a fare lo stesso in Inghilterra ed Europa. E così via.

Siamo di fronte ad un esempio del carattere distruttivo dell’innovazione tecnologica: cicli brevi di crescite spettacolari e altrettanto sorprendenti cadute sono causati dall’intreccio di fattori culturali, finanziari, politici ed emotivi. La crescente preoccupazione circa l’inaffidabilità dei social riduce le inserzioni pubblicitarie, i profitti languono e si impongono ristrutturazioni aziendali, il calo della domanda di PC dovuta alla saturazione del mercato pone in crisi i produttori di microprocessori come Intel. E mentre scoppia l’ultima passione collettiva per i dispositivi dell’AI, le manovre dei governi ci fanno capire quanto sia fallace la distinzione tra ambiti tecnici, politici e militari, con i Russi dediti alla produzione e diffusione sistematica di fake news allo scopo di influenzare i cittadini delle democrazie occidentali ed i Cinesi che utilizzano le tecnologie per la loro strategia di espansione “dolce” nel mondo. 

Sullo sfondo delle turbolenze che interessano il mondo delle tecnologie si pone la questione fondamentale connessa dello sviluppo della società moderna, ovvero in quale direzione si indirizza l’enorme potere concentrato nelle mani dei leader di poche aziende e dei governi che le possono controllare.

Il famoso linguista Noam Chomsky sul New York Times dell’8 marzo svela quelle che chiama le “false promesse di ChatGPT” centrate sulla possibilità di facilitare o addirittura sostituire il pensiero umano. La sua critica si focalizza sulla questione della verità: l’AI funziona secondo un punto di vista molto accurato per ciò che concerne i nessi funzionali tra le informazioni (uguale/diverso, prima/dopo…) e le strutture del linguaggio, ma risulta assolutamente imprecisa e tendente ad “eseguire gli ordini” quando sono in gioco questioni etiche come vero/falso, buono/cattivo, giusto/ingiusto, opportuno/inopportuno…. E non si tratta di un limite che nel tempo potrà essere superato attraverso procedure più sofisticate, in quanto il tipo di intelligenza che le macchine adottano non possiederà mail il carattere della mente umana poiché quest’ultima è fondamentalmente capace di “pensare in modo morale”.

Entra così in gioco la questione dell’interesse e quella della fiducia.

Uno studente può avere interesse ad ottenere una tesina bell’e fatta perché ciò gli fa risparmiare tempo e fatica, mentre un’impresa risparmia molto denaro – e problemi – quando nella relazione con i clienti sostituisce addetti in carne e ossa con interlocutori artificiali. In questo senso, si può dire che i dispositivi utilizzati sono “affidabili” in quanto utili a raggiungere lo scopo prefisso. Ma le azioni umane si fondano su un sentimento costitutivo delle relazioni interpersonali: “avere fiducia” significa sentire di potersi appoggiare su qualcuno che garantisce di occuparsi di qualcosa di prezioso per sé, nella certezza che lo farà secondo valori come la correttezza, l’integrità e l’onore che entrano in gioco in ogni forma di comunicazione. Ciò avviene perché questa non si riduce ad un mero passaggio di informazioni, ma tramite la scelta dei contenuti, i giudizi espressi e le intenzioni che le muovono rivelano il soggetto di fronte agli altri mettendo in moto la dinamica del riconoscimento, una qualità decisiva del modo umano di stare nel mondo.

Se questo “trasformatore pre-istruito generatore di conversazioni” è affidabile ma non certo meritevole di fiducia, vuol dire che ci tocca mettere a frutto e condividere la nostra intelligenza naturale per cercare di vivere umanamente.

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1 commento

  1. Author

    L’articolo mi suggerisce due riflessioni. La prima riguarda la natura dell’AI. E’ certamente utile distinguere l’AI dalla comunicazione umana. Tuttavia, una volta fatta questa distinzione, non “dovremmo sentirci al riparo dalle soprese”. La tecnica non è mai neutrale soprattutto in quanto non è mai interamente controllabile dall’uomo riguardo ai suoi effetti: cosiddetta eterogenesi dei fini. La seconda riflessione riguarda la nostra recente discussione sul tema individualità e collettività. Se la comunicazione umana si fonda sulla condivisone morale (sulla quale poggia la fiducia reciproca), questa, a sua volta, dipende dal fatto che l’uomo è un “essere sociale”: non è fatto per vivere da solo. Se le cose stanno così, se questa è forse la principale differenza tra la comunicazione umana rispetto a quella uomo – macchina, cosa possiamo attenderci da una cultura, figlia dell’ideologia moderna e postmoderna, che, riducendo la società ad un aggregato di individui, ne nega la dimensione morale / etica / l’identità collettiva vissuta come un vincolo, un legame intollerabile limitativo della libertà dei singoli. Forse quello che si annuncia è una sorta di babele dei linguaggi in cui gli uomini saranno condannati a non capirsi più e, per conseguenza, a vivere nel terrore reciproco?

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