Di Bruno Perazzolo e Emanuela Gervasini
Nulla a che vedere con quanto accade spesso nelle discoteche o nelle feste a casa di amici dove il ballo rappresenta veramente una metafora “dell’attuale condizione umana occidentale”: ognuno segue un suo ritmo senza che si possa intravvedere, oltre l’agitarsi caotico, un “ordine diverso dal disordine”. La “danza contemporanea”, della quale principalmente tratta il film, rappresenta piuttosto il simbolo di una condizione ideale, di un agire soggettivo alla ricerca di una posizione oggettiva, di una coralità armoniosa all’interno della quale stiamo anche noi, finalmente al nostro “posto nel mondo”. Un posto che ci attende da sempre quasi dovessimo, proprio lì, consegnare qualcosa di prezioso per ottenerne, in cambio, la giustificazione di un’intera vita e quella bellezza che diventa, per tutti, testimonianza. La “danza contemporanea” realizza, pertanto, quello che è sempre stata: un’arte universale che simboleggia, attraverso i movimenti del corpo, il rapporto intuitivo dell’uomo che intermedia tra la terra e il cielo.
Élise ama la danza classica, ma il tradimento del suo compagno e una conseguente caduta sembrano condannarla ad una vita inautentica. A questo punto, come dice la canzone di Venditti, “quando pensi che sia finita è proprio allora che inizia la salita”, una serie di “umili” incontri provvidenziali le indicheranno un’altra strada, la Sua strada, nel medesimo tempo meno formale e più vitale in quanto capace di guardare al cielo senza dimenticare la terra e i piedi.
Regia di Cédric Klapisch, con Marion Barbeau, Hofesh Shechter, Denis Podalydès, Muriel Robin, Pio Marmaï, genere commedia, Francia – Belgio 2022, durata 117 minuti, il film si può vedere al cinema dallo scorso 6 ottobre.
Grazie della segnalazione! “ La vita come una danza di parti interagenti” é una delle più belle metafore utilizzate da Gregory Bateson per definire la relazione di interdipendenza che sussiste tra qualsiasi organismo vivente, (mente compresa) e l’ambiente. Interagendo costantemente si modificano a vicenda, come in una danza, dove ad ogni passo dell’uno segue quello dell’altro …
“Un posto che ci attende da sempre quasi dovessimo, proprio lì, consegnare qualcosa di prezioso per ottenerne, in cambio, la giustificazione di un’intera vita e quella bellezza che diventa, per tutti, testimonianza.”
Ho apprezzato moltissimo questa frase, una domanda ai redattori dell’articolo, per vostra esperienza la giustificazione di un’intera vita, arriva davvero ad un certo punto?
La domanda deriva da esperienze personali che mi hanno portato a chiedermi se spesso i risultati attesi non siano esagerati perché troppo ambiziosi.
Caro Ivan, ti rispondo con ritardo per via della mia recente positività al covid, ma soprattutto perchè ho voluto pensarci sopra dal momento che la questione che poni penso sia cruciale per l’ambiente culturale in cui viviamo. Naturalmente la mia riflessione partiva dal film, ma, come hai ben colto, cercava di ricondurre la metafora ad un’esperienza realmente vissuta e, credo, abbastanza universale. Nello specifico posso dirti che la mia esperienza suggerisce che le nostre ambizioni non si realizzano quasi mai. Mi sono dato tante volte da fare, ma niente. Per mia fortuna, come nel caso della protagonista del film, ho saputo ascoltare. Almeno lo spero. Mi sono sentito perso diverse volte, ma GRAZIA ha voluto che guardandomi in giro, sia riuscito ad individuare dei segni cui affidarmi. Cosa intendo con questo? Intendo una diversa narrazione in cui la mia vita ha ritrovato un significato, magari modesto, ma un significato dignitoso che mi ha restituito il rispetto per me stesso e anche un’accettabile – ma assolutamente indispensabile – riconoscimento da parte degli altri: in primis la mia famiglia e gli amici (quelli rimasti). Il punto centrale è dunque la narrazione che non è un nostro prodotto. Noi ne siamo parte, la teniamo in vita anche con la nostra vita, ma non è la pura manifestazione del nostro io interiore. A volte, stante l’età, penso alla morte e penso che sarà terribile se quel giorno io non riuscissi a incasellare la mia esistenza dentro una narrazione del genere. Sarebbe come aver danzato tutta la vita fuori da un’opera d’arte riconosciuta. Nel suo linguaggio rock, di grande profondità artistica in quanto capace di cogliere, con estrema sincerità, nella nostra “consueta quotidianità” l’aspetto più drammatico, nella canzone Sally, Vasco Rossi descrive nel modo migliore questo stato d’animo alla ricerca di una giustificazione. Senti: https://www.youtube.com/watch?v=lUGsPaRbtXw
Mi sembra che la domanda di Ivan contenga anche la risposta: spesso i risultati attesi, se non “danzano”, cioè non sono in armonia con tutto il resto (contesto, potenzialità, opportunità, tempo, impegno, costanza…) possono rivelarsi “esagerati” o “troppo ambiziosi” lasciando dell’amaro in bocca.
Da non dimenticare poi che la “danza” (che io identifico con l’armonia tra parti interagenti) é appunto una condizione ideale e dunque irraggiungibile, ma allo stesso tempo la meta a cui tendere.
La canzone Sally di Vasco mi sembra un ancoraggio appropriato. In fondo … chi stabilisce o rispetto a cosa… la nostra storia é insoddisfacente ?
Caro Ivan, è come se noi vivessimo due vite: una è quella dei progetti dove siamo noi a condurre il gioco, ma spesso senza raggiungere quanto desideriamo, provocando frustrazione e senso di annullamento; l’altra è quella tracciata dai segni di grazia, presenti anche nel dolore e nell’insuccesso, che ci aiutano a disporci in modo adeguato nel mistero della nostra vita. Questo secondo cammino porta serenità e letizia perché ci libera dall’ossessione di condurci da sè, ma ci affidiamo e ci nutriamo del bene che è presente in ogni realtà, specie piccola. Liberati dall’inquietudine agitata, attratti da “un posto che ci attende” e ci chiama, ci sentiamo vivi e danziamo la nostra danza come dono prezioso e riconoscente.
Ciao Ivan, io mi ispiro sempre, nel perseguire i miei desideri e i miei obiettivi, al fatto che altre persone sono riuscite a ottenere risultati con costanza e perseveranza. Per esempio ora sto ascoltando su Raiplay Sound “Virgo”, la storia di un gruppo di ricercatori italiani che sono riusciti a conseguire incredibili risultati nel campo dell’astrofisica (che non è il mio campo). Inoltre mi concentro su quello che dipende da me e accetto con gratitudine le opportunità che la vita mi dà. Guardandomi indietro, ritengo di aver avuto una vita ricca e piena; guardando avanti, spero di avere altre occasioni per arricchirla di ancora nuovi significati (e non è poco, dato che sono ultra 65enne). Abbi fiducia nelle tue possibilità ma sii pronto a cambiare rotta se ti si aprono nuove strade.
Grazie a tutti per le risposte, i consigli musicali e l’attesa :D.
Ho apprezzato molto la riflessione di Daniela sullo stabilire che tipo di storia sia
insoddisfacente o meno, sembra che per avere una storia interessante bisogna quasi
avere una vita da “serie tv” dove si cerca di imitare a tutti i costi i protagonisti.
Chiunque usi TikTok sa che ultimamente sta spopolando un trend in cui si cerca di
identificare, tramite i brevi video della piattaforma, chi tra i nostri conoscenti ha una storia da “Main Character”(ovvero coloro che si vestono e comportano in determinati modi) e chi una da Comparsa. È abbastanza inquietante.
Nelle vostre riflessioni emergono due tipi di narrazione, quella sotto il nostro
controllo e quella che proviene dall’esterno. Mi sono fino ad oggi concentrato molto
su quella sotto il mio controllo convinto che “facendo bene” si possa “arrivare
lontano”, dopo la condivisione delle vostre esperienze cercherò sicuramente di
notare segni e suggerimenti dall’esterno per poter magari indirizzare meglio la
narrazione sotto il mio controllo.
Ringrazio ancora tutti per gli interessanti spunti.