Se si esclude quando, in giovane età (anni ’70), settimanalmente scendevo in piazza inneggiando i peggiori dittatori (Giuseppe Stalin, Mao Zedong, Pol Pot ecc.), e poi, a squarciagola, “Vietato Vietare”; quando confondevo la “genuina semplicità”, di cui andavo fiero, con la “bovina ignoranza”; se si esclude questo triste periodo della mia vita, sono sempre stato, un fedele seguace degli artt. 5 e 6 della nostra Costituzione. In altre parole, sono sempre stato un autonomista con forti simpatie per le idee federaliste, la costruzione dal basso, dal territorio, la diffusione del “potere tra tutto il popolo” ecc. ecc.. Ed è sempre da convinto federalista che, anche di fronte ai quesiti referendari per me meno convincenti, mi sono sempre posto la seguente domanda: “può un autonomista convinto disertare le urne, magari sostenendo che, tanto, è solo un inutile spreco di tempo e di danaro pubblico?” Invariabilmente la risposta era negativa e, di conseguenza, il mio voto, sin qui, non è mai venuto meno. Però, al pari del voto, non sono mai neppure venute meno, sempre a prescindere dalle specifiche questioni referendarie, alcune dolorose perplessità e qualche domanda che ora, in maniera un po’ provocatoria, vorrei esplicitare in questo articolo .

Bruno Perazzolo
Senza entrare nel merito del referendum del prossimo 8/9 giugno, scendo ora nel dettaglio dei miei argomenti cominciando dai dispiaceri, che sono tanti, per concludere, richiamando la domanda iniziale, con un paio di provocazioni.
Il primo dispiacere me lo porto addosso da decenni. Si tratta, per così dire, di un dispiacere fondamentale. Un dispiacere che risiede nella nostra Costituzione e nella scelta dei padri costituenti di confinare l’istituto del referendum in un ambito marginale limitandolo ad una funzione solamente correttiva (abrogativa art. 75 Cost. e confermativa art. 138 cc. 2 e 3 Cost.), di eventuali scelte parlamentari contrastanti con l’orientamento della maggioranza dei cittadini. Sin dall’inizio della Repubblica, l’opzione adottata fu, dunque, chiarissima. La nostra Repubblica sarebbe stata, prevalentemente, una Repubblica dei partiti piuttosto che dei cittadini gettando così le basi di quello che, più avanti nel tempo, diventerà l’attuale, solidissimo, sistema partitocratico.
Il secondo dispiacere, un po’ meno vecchio del primo, viene dal successivo, e, stanti le premesse, del tutto prevedibile, utilizzo che, del referendum, è stato poi fatto. A quanto mi risulta, dei 72 referendum abrogativi che si sono tenuti dal 1974 (anno di celebrazione del primo referendum abrogativo) sino ad oggi, oltre il 45 % non ha superato il quorum e solo in 23 casi l’esito è stato quello della vittoria dei Sì e, quindi, dell’abrogazione della normativa oggetto del quesito referendario. È vero, il Sì ha vinto in altri 32 casi, ma “il virus” del quorum”, a bella posta inserito originariamente nella nostra Costituzione, li ha resi tutto inutili.
Arrivo dunque al dispiacere maggiore, equivalente ad un autentico dolore, del tutto attuale. È vero! Considerata la scelta dell’astensione dei partiti di centro-destra e la crescente tendenza degli italiani e disertare le urne, l’esito dei prossimi referendum dell’8/9 giugno si tradurrà, molto probabilmente, nell’ennesimo flop: i Sì vincono ma la legge resta. Un flop ampiamente prevedibile anche da parte di coloro che, i referendum su lavoro e cittadinanza li hanno promossi. Ma allora perché promuoverli? Non ci vuole molto a intravvedere, in tutto questo, l’ennesimo uso strumentale, persino abusivo, di un istituto la cui autorevolezza andrebbe, invece, rigorosamente tutelata da parte di chi avesse sinceramente a cuore il futuro dei nostri sistemi democratici.
Concludo tornando alla domanda iniziale ed ai suoi dilemmi: “malgrado tutto può un convinto federalista disertare le urne soprattutto quando si tratta di democrazia diretta? È vero! Il virus del quorum può paradossalmente favorire l’eventuale successo di un SI’, minoritario nella totalità del corpo elettorale, anche laddove il mio voto fosse per il NO. Dunque, cosa faccio? Non vado a votare e basta? Come in passato anche oggi, più ci penso e più, questa risposta, mi sembra insoddisfacente. Però anche limitarsi ad andare a votare, sorvolando sulle questioni di fondo dell’istituto referendario, mi sembra del tutto insoddisfacente. Da qui le due provocazioni. La prima: perché tutti coloro che – sinceramente e a turno, a destra come a sinistra e al centro – si indignano per l’astensione altrui non mettono finalmente al centro il rispetto del voto dei cittadini che, responsabilmente, si recano alle urne nell’unica maniera possibile: chiedendo l’abolizione del quorum di cui all’art. 75 Cost? E perché poi, non andare anche oltre aprendo una discussione sul declino della democrazia rappresentativa e sulla necessità di incrementare altre forme di partecipazione diretta, per esempio, cominciando almeno a pensare a forme di referendum deliberative attualmente assenti nel nostro ordinamento?
Non ho mai pensato all’abolizione del quorum, per la validità dell’esito del referendum. Ottima idea! Usciremmo così dal condizionamento dell’appartenenza politica, concentrandoci unicamente ed esclusivamente su quello che la domanda del referendum chiede. A quel punto si che ci sarebbe la corsa alle urne. Trattandosi di referendum abrogativo anche i signori del No farebbero questa fatica. Così facendo sì ridarrebbe valore a questa preziosa opportunità che noi oggi abbiamo, grazie alle lotte passate di chi ci ha sempre creduto.