Colpisce, nelle elezioni americane, la tenuta, l’ampliamento e persino il radicamento della cultura genericamente definita “populista” che si riconosce nella figura di Trump.
Siamo di fronte ad una trasformazione reciproca delle culture politiche di “destra” e di “sinistra” che, sia pure con diverse denominazioni, ritroviamo anche in Europa. Contrariamente a quanti sostengono la loro scomparsa, si tratta di categorie ancora valide, in quanto indentificano comunità connotate da visioni, slogan e simboli antagonisti, propri della grande battaglia politica degli ultimi cinquant’anni, transitata dal terreno dei diritti sociali entro un quadro stabile dei costumi e dei legami, a quello del mutamento radicale di questi perseguito tramite le leggi. In questo campo, i democratici si sono intestati la prospettiva decostruttivista, mentre i conservatori la difesa dell’assetto del “tradizionale” modo di vita. Gli uni approvando leggi che poi venivano confermaste dalle sentenze della Corte suprema, secondo l’idea che quest’ultima debba interpretare lo spirito del tempo così come viene pensato da un’élite che si attribuisce un compito pedagogico riguardo al popolo, mentre i conservatori cercando di contrastare questo disegno, senza peraltro la fatica di interpretazione delle istanze di cambiamento entro una proposta che non fosse solo di difesa del quadro preesistente.
La strategia perseguita dai primi ha avuto come conseguenza non solo la radicale trasformazione della tradizionale agenda politica dei progressisti, ma anche la sottrazione dal confronto politico della questione decisiva del tipo di società che si intende edificare, operando in forza di una prevalenza della componente liberal nella Corte suprema e del sostegno della maggioranza del mondo intellettuale. Ma le visioni politiche che si pensava di mettere a tacere non si sono spente; piuttosto sono riemerse in un altro modo, trasformando il movimento conservatore in una mobilitazione dei “piccoli plotoni” della società civile: le famiglie, le associazioni, i villaggi, le confraternite religiose, finendo per cementare un nuovo blocco storico interclassista i cui temi chiave sono il discorso anti elitario, la lotta al profilo invasivo dello stato negli ambiti di vita, la difesa degli interessi di operai, contadini, imprenditori e operatori della finanza.
Emerge quindi uno stretto legame tra la nuova natura della strategia progressista, tendente alla trasformazione dei costumi privati e sociali tramite le leggi, abbandonando la tradizionale vicinanza alla classe operaia ed ai ceti popolari, e preferendo ascoltare i ceti intellettuali e globalizzati, e la svolta “populista” dei conservatori che perseguono al contrario una partecipazione popolare basata sull’iniziativa nei territori e nei luoghi di vita, pur scontando in questa prospettiva la contaminazione con tesi e comportamenti a tratti irriflessivi e rozzi.
Un conto sono le politiche sociali di giustizia e uguaglianza proprie della sinistra storica, un altro il disegno di “nuova genesi” accompagnato da una revisione radicale dell’intero patrimonio della cultura Occidentale che va sotto il nome di “Cancel culture”. È questo lo scenario attuale del nuovo scontro destra-sinistra, di cui non è difficile riconoscere l’origine: la “visione” di nuova società che i progressisti si sono intestati ed il blocco intellettuale, politico e di funzionari con cui hanno deciso di realizzarla.
Piaccia a non piaccia, in democrazia la sovranità del popolo prima o poi emerge. Il populismo è mosso certamente da sentimenti di paura e di difesa degli interessi particolari e territoriali ed è portatore di idee antidemocratiche, ma è alimentato anche da una deformazione della stessa democrazia come una forma di governo in cui le leggi vengono pensate dagli intellettuali e realizzate da un’élite di politici e funzionari che dialogano esclusivamente tra di loro.
Speriamo che le ripetute dichiarazioni di Biden “Sarò il presidente di tutti gli americani, anche di quelli che non mi hanno votato” non siano solo frasi di rito, ma indichino una revisione della svolta decostruzionista ed elitaria della sinistra americana. Cominciando dal contenuto della celebre lettera pubblicata nello scorso mese di luglio dalla rivista americana Harper’s, firmata da circa 150 intellettuali in cui si chiede di rimuovere “ogni falsa scelta tra giustizia e libertà, che non possono esistere una senza l’altra. Come scrittori abbiamo bisogno di una cultura che ci lascia spazio per la sperimentazione, il prendersi rischi e anche il fare errori. Dobbiamo preservare la possibilità di un disaccordo in buona fede”.
In questa riflessione sulle elezioni americane, un altro fattore chiave che andrebbe considerato è il modello economico degli Stati Uniti, modello a salvaguardia del loro livello di prosperità come evidente nello slogan “America First”.
A prescindere dalla corrente, il modello economico definisce indirettamente l’agenda politica; in particolare provoca un’inerzia che influenza le decisioni dei politici, i quali o non fanno nulla per cambiare il modello o contribuiscono alla sua promozione. Tale modello è basato sul “Deficit” e sui profitti generati dagli strumenti finanziari basati sul debito (a differenza del modello basato sul “Surplus” che prevaleva nel dopoguerra fino alla caduta del Gold standard) ; è un modello in cui il sistema finanziario è il pilastro sacro che deve essere sempre “soddisfatto” per poter alimentare una crescita indefinita basata sull’accumulo di profitti.
Un esempio pratico dell’influenza del modello economico, è stata la nomina di Timothy Geithner a Segretario del Tesoro da parte di Obama nel suo gabinetto dopo aver vinto le elezioni grazie al sostegno dei movimenti cittadini (Grassroots) ai quali aveva promesso di concentrarsi sull’alleviare la grave crisi che aveva colpito gli Stati Uniti. Geithner, che era stato presidente della Federal Reserve di New York, è sempre stato un forte sostenitore e sponsor della prevalenza del settore finanziario in quanto motore dell’economia. Dopo aver lavorato nell’amministrazione Obama è entrato a far parte di un Hedge Fund. Geithner potrà sempre dire che la sua intenzione era stata quella di migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini e che il suo attuale lavoro nel settore privato è legittimo ed etico, ma per le classi svantaggiate è stata l’ennesima prova che il potere è nelle mani di un’elite capace di interpretare solo i propri interessi. Questo blocco di popolazione che in gran parte aveva votato per Obama è stato lo stesso che in seguito ha votato per Trump, deluso dai risultati dei due precedenti mandati. Questo effetto può essere trasferito praticamente nella sua interezza al caso francese e al salto del tradizionale elettore di sinistra al Fronte nazionale.
Ridurre la polarizzazione negli USA, e in Europa, a un confronto tra un modello tradizionalista e uno progressista è solo una parte del problema e potrebbe anche appartenere a un copione, quasi machiavellico, ma senza rappresentare una cospirazione, sviluppata dalle élite politiche ed economiche, che si trovano da entrambi i lati dello spettro politico. Rimangono tuttavia ampie le differenze tra le due parti relativamente ai temi di identità sociale che giocano un ruolo molto importante nei risultati elettorali.
Mi pare importante, in linea con questo contributo, leggere la non marginale reazione anti-Democratic americana (e non solo?) al di là delle categorie Buoni/Cattivi (ma io andrei anche al di là del binomio Conservazione/Progresso).
Nel panorama giornalistico in merito restano offuscate
1) la dimensione di reattività-reazione di fasce notevoli di popolazione contro una percezione di deriva ideologica che si rivela durevole (o strutturale?) nei Democratic (non solo in America?)
2) la sempre più angosciosa assenza (non solo in America) di formazioni politiche non polarizzate che medino, senza più o meno espliciti filtri ideologici, le istanze realmente sociali e popolari moderate ancora ben presenti nella società occidentale ma sempre più forzatamente radicalizzate…
e questo spinge allo sbando, alla reazione selvaggia o paraconservatrice, al Sospetto Universale, alla aggregazione verso polarità percepite come antisistema.
Che a demonizzarle a priori (uno sport comune a tanta gente pur onesta), si diventa oggettivamente più parte del problema che della soluzione.
La democrazia ideologizzata, che forse sta diventando predominante, genera incubi e poco importa essere più simpatetici con la prima o con i secondi, urge piuttosto ricostruire con pazienza e passione luoghi umani, per quanto piccoli, in cui la democrazia sia prima di tutto esperita e testimoniata.