di Dario Nicoli

L’incontro del 18 maggio scorso si è tenuto presso la sede di Family Way, con la presenza di Silvia Grigolin, Presidente dell’Associazione, Simonetta Vanin, Vicepresidente, le operatrici Stefania Volpato (Noale), Silena Radich (Spinea), Sabina dalla Nora (Monsuè) e Marilena Zanette (Silea), le ex corsiste Maria Cristina Bordin e Marina Coan, la docente Anna Germinario e come genitore Edda, mamma di Letta.

Per Pensarbene erano presenti Natanail Danilov, Bruno Perazzolo e il sottoscritto.

Si sono collegati a distanza AnnaMaria Tosatto, Assessore alle Politiche sociali di Noale (VE), e Leonio Milan, sindaco di Mansuè (TV).

Sono proprio i due rappresentanti degli enti locali a rispondere in modo positivo alla domanda iniziale: esistono evidenze che indicano il risveglio della comunità?

La pandemia come spinta per la comunità

Anna Maria Tosatto, presentando Noale (18 mila abitanti) come un comune in crescita, in quanto attrae coppie giovani che scelgono questo territorio perché lo giudicano a misura d’uomo, indica nel triennio della pandemia il momento in cui è divenuta evidente l’importanza di una rete virtuosa composta soprattutto di associazioni, molto numerose a Noale, che hanno risposto positivamente all’iniziativa dell’Amministrazione. Si tratta di una stagione nuova, dove i servizi hanno assunto il compito di coordinamento di una rete associazioni che hanno imparato ad uscire dalla mentalità di paese ed aprirsi ai nuovi bisogni ed alle modalità di servizio più adatte al nostro tempo.

La proposta di Family Way è stata apprezzata in quanto ha riempito un vuoto, e perché il suo intervento ha favorito un cambiamento positivo nel contesto locale.

Leonio Milan, sindaco di un comune di circa 5mila abitanti, sottolinea come l’amministratore oggi debba essere un piccolo imprenditore che sa coordinare tutti i numerosi interventi che si svolgono sul territorio, ascoltando e valorizzando ogni proposta che proviene dall’associazionismo, peraltro molto attivo. Anche qui l’esperienza della pandemia ha rappresentato un punto di svolta, specie per la grande opera dei giovani che hanno garantito la consegna di mascherine e di cibo alla popolazione che ne aveva bisogno. Il sindaco afferma che ”senza il supporto delle associazioni le amministrazioni non farebbero niente”. La vita di comunità è fatta anche di rilancio della Proloco, del grande successo della sagra, ma anche della messa a disposizione della chiesa evangelica (Monsuè vive una fortissima immigrazione) di un capannone dove poter pregare, facendone il punto di riferimento di questa comunità.

Cosa fa Family Way

La Presidente Silvia Grigolin ricorda che Family Way gestisce un percorso di formazione per operatori che diventano titolari di una specifica attività rivolta ai bambini (Anni verdi) ed agli anziani (Anni d’oro).

È un modo speciale di svolgere un ruolo educativo valorizzando attitudini, inclinazioni e passione di persone che sentono la vocazione per questo servizio. La sua iniziativa ha portato alla creazione di diverse case Anni verdi, piccoli gruppi di bambini che vengono accolti nelle abitazioni delle operatrici. Essa associa queste ultime, ma anche le famiglie coinvolte.

Edda spiega il successo della proposta: “è la personalizzazione nel rapporto educativo che fa la differenza” e ciò è di grande aiuto per la mamma. L’operatrice non ha il problema di un programma da seguire, ma si orienta in base a ciò che accade, alle occasioni che si presentano. Aggiunge anche un giudizio positivo sul tema religioso: la laicità è intesa in forma inclusiva ma anche esclusiva, e ciò rappresenta un valore aggiunto.

Stefania chiarisce un aspetto del metodo: sono i bambini che fanno i programmi, tutti i giorni si fa esperienza nell’ambiente domestico ed anche di quello esterno, dove si vive uno scambio tra piccoli e grandi: il nonno che aggiusta la bici, la nonna che fa le tagliatelle. È così che ogni giorno diventa una sorpresa.

Sabina aggiunge: con questo metodo si può guardare l’esigenza di ogni singolo bambino e cogliere la scoperta che fa ogni giorno. In questo siamo aiutate dal confronto costante con Silvia sul cammino e sui progressi che rileviamo.

Silena pone l’accento sul senso di appartenenza che si crea tra i bambini, la casa e il territorio: il gruppo è piccolo, ma l’ambiente di cui si fa esperienza è grande, non è rinchiuso entro quattro mura. A poco a poco sorge nei bambini un senso di appartenenza che corrisponde ad un desiderio profondamente umano. Le famiglie condividono questo approccio, sapendo che spesso viene accantonato a causa delle esigenze della vita quotidiana e della prevalenza dei figli unici: una volta la propria casa era già una comunità. È cambiato moltissimo il ruolo della donna, obbligata continuamente a fare dei compromessi tra le esigenze educative dei figli, le incombenze quotidiane, tenuto conto che spesso hanno a carico anche i nonni. Ma i bambini non hanno le sovrastrutture degli adulti e con la loro curiosità aiutano gli adulti a ritrovare la strada.   

Simonetta chiarisce il nesso tra attenzione alla persona e legame reciproco: “se qualcuno mi riconosce, io sento di appartenere”. Aggiungendo che il partecipare a qualcosa di concreto è la base con cui contrastare l’approccio individualistico.

Anna aggiunge: il cuore del nostro metodo consiste nl mettere in relazione, accogliere e cogliere tutto ciò che emerge, sapendolo valorizzare. Questo modo di vivere il legame tra le generazioni porta a condividere valori e riconoscere i bisogni di ciascuno, generando fiducia.  “La strada si crea” in quanto pone una sfida sempre nuova.

Maria coglie l’importanza dell’approccio di Family Way che integra il meglio di diversi metodi; in tal modo, si favorisce la “sincronia della vita” che, iniziando dai bambini, si estende anche ai genitori. Infatti, sono molte le occasioni di confronto che si offrono alle famiglie. Le operatrici sono sostenute quotidianamente da una persona esterna con cui possono confrontarsi. Questo stile educativo si fonda sulle due parole “dono e talento” che aiuta i genitori a vivere un senso di appartenenza verso se stessi che li porta a dare valore a ciò che già hanno. Il benessere è legato ad una crescita interiore che sostiene il proprio sviluppo personale. Ciò è provocatorio per quei genitori che, inizialmente, vogliono un servizio per non avere l’ingombro del figlio.

Silvia aggiunge che le famiglie esprimono una forte richiesta di aiuto su come affrontare le situazioni della vita pratica come le crisi di pianto oppure su come cambiare il pannolino, cose che neppure in università ti vengono insegnate non solo nella forma dei suggerimenti, ma su come metterli in pratica giorno per giorno.

È Marina che prosegue: “vedo genitori molto persi: una bambina in inverno voleva i sandali, la mamma l’ha lasciata uscire così”. I genitori spesso mancano di un senso di comunità che vuol dire sacrificio, ovvero rendere sacro il mondo che condividiamo con gli altri.  

Marlena sta promuovendo ora il suo servizio, traendo ispirazione anche dal papà impegnato nella Proloco che gli ha trasmesso il senso di comunità. Ad esempio, nel lavoro di sistemazione del giardino e nella festa realizzata entro una vecchia casa colonica. La sua famiglia ha fatto spazio per offrirle la possibilità, ed il piacere, di accogliere i bambini in casa.  

Ma i benefici del metodo si manifestano anche quando si è impossibilitati ad operare come si vorrebbe. Maria Cristina è in un momento di stand by a causa di problemi di salute. Il malessere che hanno generato ha risvegliato in lei qualcosa di importante, che ne ha rafforzato il carattere.

Natan ha concluso l’incontro con questo intervento: nell’ascoltare i diversi interventi gli si è “riempito il cuore e l’anima” perché ha rivissuto l’esperienza del 2012 quando è arrivato in Italia con la sua famiglia, accolti in una casa di un paesino in provincia di Varese, molto simile a quelle presentate nell’incontro. Si ritrova moltissimo in questa esperienza, anche se avverte con dispiacere come tutto questo oggi sia andato perso, in quanto vi è poca consapevolezza di essere genitori.

Educare naturalmente

Family Way è un’associazione di tipo nuovo. Ciò che la distingue dalle scuole di mediazione culturale è la focalizzazione del servizio sulle Case Anni Verdi e Anni d’oro, ed inoltre l’accompagnamento degli operatori tramite la continua supervisione pedagogica unita al supporto alle amministrazioni locali che decidono di sostenere tale esperienza nel loro territorio. Contemporaneamente Family Way ha realizzato i Servizi di Conciliazione per la Famiglia; inoltre offre alle famiglie associate incontri di sostegno alla genitorialità.

Ma la novità più importante emerge dallo stile educativo dei servizi offerti: esso risponde esplicitamente al disorientamento che attraversa le famiglie del nostro tempo, spesso con un figlio unico e con scarsa dimestichezza circa il compito educativo dei genitori, uno dei segnali dello stallo che si è creato tra le generazioni. La cultura del soggetto ha preso il posto di una cultura della comunità, e ciò ha interrotto la tradizione, ovvero la consegna da una generazione all’altra del “mestiere di vivere” e quindi di educare.

Molti dei presupposti su cui riposano le principali teorie pedagogiche e le relative pratiche didattiche – famiglie sensibili ai valori educativi, bambini già formati sin da piccoli all’esperienza della comunità, una società che condivide i capisaldi dell’etica umana – sono progressivamente liquefatti, entro un caos di significati e di valori che confermano la disposizione del nostro tempo a “credere a tutto” purché sia nuovo e “soggettivo”.

Per questo serve una pedagogia che parta dalla relazione-base tra operatrice e bambino, una pedagogia che possiamo chiamare “naturale”, non intesa nel senso di un percorso nella natura, ma che insegni a vivere e crescere naturalmente.

Piuttosto che procedere secondo le didattiche artefatte, basate su un programma precostituito, Family Way ha scelto un cammino che si snoda sulla scoperta del mondo, allo scopo di formare i bambini al senso di appartenenza che scaturisce dal sentirsi riconosciuti come persone e dalla “strada dello stupore” che si snoda davanti ai loro occhi e si riflette nei loro pensieri.

È un ricominciamento dell’esperienza umana che fa bene agli adulti, in particolare ai genitori che imparano dai figli a vedere le cose come se fosse la prima volta, per scoprire quanto sia importante assumere una posizione umana verso se stessi, non lasciarsi travolgere dalle tante incombenze senza “accorgersi di vivere”.

Mai la generazione di mezzo si è trovata a vivere in un modo così alienato; mai un’epoca ha vissuto un così forte e doloroso bisogno di benessere dell’individuo con se stesso e di appartenenza al mondo comune, quanto lo vive la nostra. La pedagogia di Family May va alla radice della vita.  Esso consiste nei due movimenti: il primo richiede di assumere il rischio di educare i bambini ad una vita buona, il secondo consiste nell’imparare da loro a vedere ogni cosa come un dono ed a scoprire la sacralità del creato.

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