Il testo parte dalla necessità di comprendere il significato della parola lavoro, liberandolo dalle scorie e dalle riduzioni avvenute nel corso del tempo, e scavando in profondità per trovare il suo punto focale.

“Lavoro” è una parola che non sembra aver bisogno di spiegazioni. Ma siamo sicuri di sapere cosa significa? Per gran parte delle persone, infatti, “lavoro” significa soltanto “pratica”: così però si perdono un sacco di sfumature. In più, per la prima volta nella storia, si è fatta esplicita una predicazione anti-lavorativa il cui risultato è pensare che la vita vera, dotata di significato, sia solo quella al di fuori del lavoro. Ecco quindi la necessità di un “manuale di educazione al lavoro per i giovani”.

Il lavoro è la parte progettuale dell’anima della società. Quando una società “sente” qualcosa, questo sentire si manifesta nel modo in cui essa lavora. La nostra al contrario è una società bloccata fondamentalmente perché non sente più nulla e infatti per la prima volta nella storia è diventata esplicita la negazione del lavoro.

Il rapporto tra giovani e lavoro è visto come uno dei fattori fondamentali della generatività sociale.

I giovani servono perché devono dare calore e futuro alla società, che senza giovani muore di freddo e manca di futuro, non ha lo sguardo in avanti, si limita a conservare quello che ha. La civiltà è un corpo vivente, con un carattere fondamentalmente generativo: mettendo i giovani in stand by, la civiltà di fatto smette di vivere. Mettere i giovani al lavoro al contrario significa permettere loro di aggiungere la loro novità alla nostra società. “Lavoro” infatti non è solo il produrre beni e servizi ma anche il procedere nel cammino della civiltà, il portare avanti la promessa/missione che ogni civiltà ha, la manifestazione dell’amore per la vita.

Il lavoro è buono quando procura un beneficio reale alle persone, alla comunità, al rapporto con la natura, qualsiasi cosa fai. Quando porta con sé un ampiamento del bene, quando concorre a rendere migliore la vita. Quando è fatto a regola d’arte. Quando è affidabile, ossia quando contiene una relazione fra persone. Quando facendo le cose che fai, impari. Quando c’è corrispondenza in termini di denaro con il valore dell’apporto che hai dato. Quando c’è una crescita dello stipendio proporzionale alla crescita professionale. Quando uno va a letto ed è cosciente di aver fatto la sua parte. Quando puoi avere interessi che non sono il lavoro.

Oggi serve un nuovo approccio al lavoro: l’ingaggio, bisogna mettere i giovani in gioco con più alternanza e più didattica attiva. Ma anche con dei “cantieri d’opera”, soprattutto per quelli che non sanno cosa vogliono e per quelli che hanno sogni che veleggiano nell’aria: un movimento educativo che dia loro occasioni, sentieri di ingresso con un adulto che sa fare e che si prende cura della loro crescita.

È questa la vera fortuna per un giovane di oggi.

Dario Nicoli, Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2018.


Vuoi portare anche tu un contributo alla riflessione? Invia la tua proposta argomentata, documentata e animata da un vero desiderio di confronto, al coordinatore del tavolo compilando il form.