«Chi insegna conosce bene quei momenti in cui l’attenzione di allievi e allieve è incatenata al punto che la classe “risuona”, in cui ci si riesce reciprocamente a coinvolgere e a essere coinvolti. Allo stesso modo, conosce pure quei momenti in cui si ha la sensazione di parlare nel vuoto, in cui nulla torna indietro».

Il volume di Hartmut Rosa giunge proprio nel momento in cui la scuola sta riscoprendo la centralità della relazione educativa come condizione fondamentale non solo per conoscere, ma per mettere l’alunno nella condizione di conoscere, venendo incontro alle esigenze e possibilità proprie della mente umana. Infatti, prima dell’apprendimento vi è la disposizione ad apprendere, ed è questo il centro della proposta dell’autore. 

Rosa è un sociologo tedesco noto come teorico della società moderna come accelerazione, un fenomeno che nella sua veste totalitaria conduce a forme gravi di alienazione sociale, considerate come il principale ostacolo alla realizzazione della “vita buona”, quindi all’esperienza di felicità. Ciò lo ha condotto a scoprire la “risonanza” come la «relazione primaria col mondo» espressa simbolicamente dai due movimenti reciproci di affezione ed emozione. Un paradigma peraltro rinforzato dalle ricerche neuroscientifiche sui meccanismi di rispecchiamento. In una liaison risonante soggetto e mondo si toccano reciprocamente e si trasformano contemporaneamente. Nella relazione di risonanza è all’opera, perciò, una dialettica di chiusura e apertura, di autoaffermazione ed esposizione all’altro, il cui esito è sempre superiore alle premesse.

Egli critica quella lezione che produce nell’alunno solo un’eco, ovvero la mera ripetizione ovattata di quanto ha recepito, ma pure la competenza senza risonanza, ridotta ad una tecnica finalizzata all’uso strumentale delle cose. La possibilità di suscitare una relazione risonante con le cose non è affatto garantita da un metodo, ma richiede innanzitutto la fiducia nei discenti sapendo che questa genera in loro la responsabilità di meritarla; implica inoltre la fascinazione, che non è estetismo, ma deriva dal custodire il senso del mistero insito nel reale, senza obbligare gli studenti a comprendere tutto immediatamente; richiede infine la sensibilità che si rivela nella tolleranza agli errori, visti come occasione per mettere in moto un lavoro reciproco di ricerca verso la “appropriazione trasformativa” del sapere.  

Si tratta di una “disposizione d’animo”, un modo di vivere la scuola in risonanza con i nostri allievi e in sintonia con colleghi, genitori, comunità e territorio. Diventa necessario, oggi più di ieri, sintonizzarci con chi ci sta davanti, anche se lo “stare davanti” fosse filtrato da uno schermo, da una visiera o da una mascherina. Vivere la scuola come spazio di risonanza, significa costruire con gli altri innanzitutto relazioni basate sul sentire di essere importante l’uno per l’altro.   

Rosa Hartmut. Pedagogia della risonanza. Conversazione con Wolfgang Endres. Morcelliana 2020

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